giovedì 21 ottobre 2010

You know...

Cosa posso fare, mentre il cuore batte?
Sono ciò che sono, su tulipani di seta,
nei colori infantili della mia stanza
mentre fisso una tua foto.
Sono ciò che sono, quando le tue mani
mi rendono donna
e il tuo profumo si perde nell’aria.
Ascolto quest’emozione che cresce,
nella paura di lottare, il desiderio di vivere,
un desiderio d’amore.
Mentre canto l’impazienza dei giorni,
lo schiocco di un bacio imbeve i fili del telefono,
il calore delle labbra che scaldano una notte,
le parole d’amore che non sono mai troppe,
quando sei triste e il futuro non ha contorni.
E resti in silenzio fissando la luna
E le mie lacrime riempiono una richiesta.
Sono ciò che sono, tra le rose rosse
dell’ultimo sorriso, cacciando spine verdi
nella speranza che non vuole morire.
Nei dubbi di questa esistenza pulsiamo come bassi
urlando peccati nascosti sotto la pelle,
sotto i vestiti che mi togli.
Fresca innocenza riempie le notti mielate
dell’estati che si rincorrono.
Lascio dipingere cieli azzurri nei tuoi occhi,
quando il sole brilla su di noi,
quando il freddo si permea di stelle.
La passione spalanca le porte
vibrando di noi...
Chiudo gli occhi,
quando il grigiore m’invade; e ti sento respirare.
Sono ciò che sono, quando resti a guardarmi...
Scivolando nell’anima, una perfezione che non ho,
un corpo a corpo con la vita, arrendendomi
al nostro treno sui pendii di fiori.
Sono ciò che sono...
Ora che piango tra le rive nascoste
di quest’emozione,
ora che piango di dolore incompreso,
ora che piango, legando queste lacrime a un sogno
nella notte, piangendo d’amore.
E ti sento vivere.

gennaio 2006



to You

martedì 19 ottobre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.10

*
Capitolo 10

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Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it here in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

Heaven - Bryan Adams


Il sole tremolava incerto sull’orizzonte, come se combattesse il caldo che proveniva dalla sabbia del deserto. Thari lo guardava assorta nei suoi mille pensieri e nel suo senso di colpa, che la schiacciava come una cascata che non la lasciava respirare.

Non era in grado di gestire quel momento, non era in grado di dare un senso alle azioni che aveva compiuto, senza darsi della stupida. Le leggi che da tempi remoti regolavano il sistema le parvero all’improvviso insindacabili; e lei le aveva infrante.

Le aveva infrante due volte: quando si era resa visibile a un umano e quando si era innamorata di un umano. E quella era una legge che avrebbe dovuto tenere presente fin da subito; invece non lo aveva fatto. Con la scusa di praticare una parte del suo lavoro, aveva imparato a conoscere Ryker fin dentro l’anima. Quel luogo inaccessibile anche agli stessi umani.

In quel modo lo aveva amato; in quel modo lo aveva tradito.

Tradito perché ora sapeva, tradito perché non sapeva. Tradito perché lo amava.

Le leggi non servono a nulla, se esiste il libero arbitrio. Le leggi non servono a nulla, se il cuore non è in grado di seguirle. Aveva infranto le leggi e presto avrebbe infranto bene altre cose.

Con la coda dell’occhio vide Ryker giungere sulla terrazza, con il suo passo virile e la dolcezza dei movimenti; Thari strinse le braccia attorno alle ginocchia. Lui si sedette accanto a lei, guardando il Sahara. «Scusami per prima.» Disse, senza alcuna esitazione.

«Oh, non importa. Hai ragione, sono un demone e quello che faccio è togliere vite umane. Ed è colpa mia se sei bloccato qui.» Mormorò.

Lui si voltò e le diede una leggera botta con la spalla. «Questo è poco ma sicuro.» Commentò in tono canzonatorio.

Lei abbassò il mento e lui la cinse con le braccia, lasciando che Thari poggiasse la testa su di lui, il quale si riempì il naso di rose selvatiche, mentre la cullava con delicatezza. «Per me non è facile. Non è facile stare qui, stare lontano da casa, accettare tutto ciò che è successo nell’ultimo tempo.» Disse lentamente, dosando ogni singola parola. «Tuttavia non sono così sciocco da pensare che per te sia una questione semplice o un capriccio: so che lo stai facendo per me, per riparare a qualcosa che tu hai fatto, ma in cui io ormai sono coinvolto. Perdonami se a volte non riesco a sopportare questa situazione; non sono arrabbiato con te o forse sì, non ha importanza, ormai.» Le accarezzò la testa. «Grazie per quello che stai facendo adesso. Va bene così.» Il tono era basso e deciso, un timbro rassicurante. «Davvero, Thari.»

Lei chiuse gli occhi per un momento, ascoltando l’eco morbida del proprio nome sulle labbra di lui. Un tomento delizioso e troppo breve. Così breve. Il cielo sfolgorò i mille colori del tramonto quando il sole scivolò oltre la linea della terra. «Faccio un sacco di guai.» La voce cristallina incrinata nella consapevolezza delle proprie azioni.

L’errore, il tradimento, la colpa.

«Per essere un demone sei fin troppo umana.»

«Non so se prenderlo come un complimento.» Alzò il viso verso di lui. «Mi odi per tutto questo?» Domandò con voce querula.

Ryker sorrise. Il sorriso dolce di chi era abituato a farlo, il sorriso generoso di chi ci mette amore e comprensione. «Un po’.» Con il pollice le sfiorò la guancia, subito sotto l’occhio, chiedendosi se dei demoni potessero mai piangere, e trovò il fatto talmente ironico che si dovette sforzare per non ridere; non desiderava in nessun modo farle credere che stesse ridendo di lei, né desiderava farla sentire a disagio. Invero, desiderava che gli angoli delle sue labbra si piegassero verso l’alto.

Ma Thari le teneva piegate in un vago broncio infantile; lo sguardo perso negli occhi azzurri di lui; la pelle avida del respiro soffice di Ryker. Lui piegò il viso e la baciò con gentilezza.

Thari chiuse gli occhi, sciogliendo i muscoli tesi, e gli prese il viso con entrambe le mani. Avrebbe voluto essere un’essenza sola con lui, avrebbe voluto che lui non smettesse di baciarla per tutta la breve vita che le rimaneva. «È possibile desiderare il tuo corpo e la tua mente più di quanto io abbia mai immaginato?» Mormorò sulle sue labbra; le ali che si muovevano appena, placide, dietro di lei.

Ryker continuò a baciarla crogiolandosi nel suono delle parole di lei, sul significato delicato e nello stesso tempo invitante; infine sorrise. «Io non avevo mai immaginato nulla di tutto questo.» Con la lingua seguì la linea dritta della mandibola, quindi fece una leggera pressione su di lei con la mano, facendola sdraiare sul pavimento di prato, morbido letto dai riflessi smeraldini. Il denso calore del sangue, che percorreva il suo corpo, che colmava la sua brama, era un fiume di seta privo di dighe. «Se vuoi farmi impazzire in questa storia, fammi impazzire come si deve.» Bisbigliò al suo orecchio, prima di baciarle il collo.

Lei respirò a fondo; lo stomaco stretto in una morsa di dolce tensione. Le ali del tutto spalancate sull’erba, rilassate, mentre il corpo di lui scivolava sul suo. Ryker le sciolse la cordicella che le teneva fermi i vestiti, e quelli si aprirono silenziosi, scoprendole il seno sodo. Le labbra bagnate di lui scesero a baciarli e Thari ansimò inarcando la schiena.

Le infinite tonalità del blu invasero il cielo del Sahara, fuori la terrazza coperta, e, dentro, il fuoco delle torce si dipingeva danzante su di loro. La ragazza chiuse gli occhi, mentre il desiderio stillava umido da lei alla ricerca di un sentimento vivo e passionale. La bocca di lui disegnava percorsi invisibili sul corpo nero, che fremette sotto le sue mani candide e sicure, quando le sciolsero la gonna; le piume grigie carezzarono i fili d’erba in un breve sussulto. Thari prese il viso del ragazzo e lo attrasse al proprio; lo guardò negli occhi, senza esitazioni. «Se nella mia vita il mio cuore ha mai desiderato qualcosa più dell’aria, quel qualcosa sei tu; adesso.»

L’errore, il tradimento, la colpa.

L’amore. L’amore fulgido; l’eternità di un sentimento senza luogo, senza spazio, senza misura. Luce e ombra di un estremo volere; impalpabile egoismo.

Non posso.

La menzogna, l’omissione, la colpa.

Ryker le sfiorò i capelli dai riflessi argentei e la baciò a lungo. Poi si staccò da lei e le baciò il naso. «Thari, non so se rivivrò questo momento solo nei miei attimi più onirici, né come finirà questa storia; ma so che, qualsiasi cosa tu sia, sei la cosa più bella che potessi avere e il demone più dolce che io potessi conoscere.»

L’amore. Lucida follia; lacrima di gioia, attraente delirio di anime sognanti. La mente, il corpo: il risucchio dei sensi, oltre la logica delle leggi universali.

Non posso.

L’omissione.

Il tradimento.

La colpa.

L’amore. Thari gli rivolse un sorriso disarmante, carico di tutto ciò che provava per lui. Con la punta delle dita percorse la colonna vertebrale di lui in tutta la sua lunghezza, fino alle natiche; lo liberò della stoffa drappeggiata dalla vita e fece risalire le mani. Gliele poggiò sul petto e osservò il diamante corvino sul bianco velluto; le fece scorrere su di lui lentamente e lo attrasse a sé.

Ryker assaporò quel bacio caldo, assaporò ogni parte di lei e lei si sciolse, languida, sotto di lui. L’intensa voluttà rimbombava nelle vene e il tempo le parve, per una volta, magicamente infinito. Il risucchio dei sensi.

Trattenne il respiro quando lui si fece strada dentro di lei: si aspettava che sarebbe fuggito da un momento all’altro, che avrebbe scoperto qualcosa di non umano che lo avrebbe terrorizzato. Tuttavia lui incastrò lo sguardo nei suoi profondi occhi color pece e gustò ogni istante di quel percorso, fino a che non arrivò alla fine ed entrambi gemettero.

L’amore. Oltre la logica delle leggi universali, e parte di esse.

Thari socchiuse le labbra in un muto grido di dolore e piacere; lui scese a baciargliele e lei chiuse le palpebre. La sua mente contemplò il sentimento soffuso che scaturiva dal cuore di lui e lei si beò della sensazione di quell’intreccio perfetto, di lui dentro di sé, del bianco e del nero, dell’umano e del demone. Erano forgiati insieme nello spazio impalpabile di un tramonto senza fine. Il mio amore ti ucciderà. «Sono tua, ora.» Sussurrò, cingendolo con le gambe.

«Sarai mia per sempre.» Replicò Ryker con voce roca, senza sapere che quelle parole piene di una irreale promessa di eternità, racchiudevano un doloroso nocciolo di verità.

Lei fece per rispondere, ma lui uscì e affondò nuovamente dentro di lei. Thari avvampò e il suo bacino si sollevò, avido, verso di lui.





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Ancora grazie a chi sta seguendo questa storia.

Sullo scorso capitolo sto meditando.

Questo, in realtà, era più lungo, con uno stacco, ma ho preferito dividere il decimo capitolo in due più piccole. Anche se più brevi, poi capirete -forse- che è stato meglio così.

Questa è la vera piega diversa che aveva preso il racconto, quando lo dicevo tempo fa. Non voleva essere una storia d'amore, ma lo è diventata. Si vede che ono ancora romantica come una volta, inutile negarlo...


mercoledì 13 ottobre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.9

Capitolo 9

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«Torno presto.» Questo gli aveva detto Thari andandosene.

Ma erano passati tre giorni e lui non poteva più resistere. Si era coperto con i lenzuoli del proprio letto e con uno aveva creato una sacca in cui mettere le bottiglie d’acqua e i biscotti. Non era certo di quello che stesse per fare, ma la frustrazione e la sensazione che tutto ciò che stava vivendo fosse oltre le capacità umane, gli diede la spinta per avventurarsi.

Nord est. Quella era la direzione in cui, a detta di Thari, si trovava il primo villaggio; doveva solo seguire quella direzione e con tre, forse quattro giorni di marcia sarebbe arrivato. Là avrebbe chiesto aiuto e in qualche modo sarebbe tornato a casa, a Roma.

Lei non glielo aveva detto, ma il ragazzo aveva capito dalle poche informazioni che aveva fornito che Thari era nella capitale italiana per far rinascere una persona. A quanto pareva i demoni della rinascita erano così occupati nell’espletare i loro doveri che Iside non riusciva a coprire sempre il lavoro di entrambe. E c’erano rinascite che non potevano aspettare.

Sotto il sole africano Ryker sospirò.

Come poteva essere finito in quel guaio? Voltandosi indietro si accorse di non avere più idea di dove fosse la casa di Iside. Decise di non voltarsi più e di proseguire il più velocemente possibile.

Tuttavia, quando il sole si fece alto nel cielo, l’aria divenne secca e respirare significava raschiare dentro naso e bocca. Dovette rallentare il passo e bere più volte a piccoli sorsi. Fu solo dopo il tramonto, però, che si rese conto dell’insensatezza di quella decisione; eppure lo sapeva che il deserto era infame, lo sapeva che la notte poteva essere gelida e che la sabbia poteva nascondere bestie velenose.

Lui che tutta la vita aveva calcolato i pro e i contro di ogni azione, che non aveva fatto scelte senza prevederne le conseguenze, ora si trovava, come un qualsiasi sprovveduto, da solo nel deserto con qualche lenzuolo di cotone e pochissimi viveri.

La sua vita era cambiata. Lui era cambiato. Questo era il punto a cui non riusciva a dare voce: Thari lo aveva trasformato per sempre, con il suo mondo, le sue battaglie, i suoi stupidi complessi da ragazzina emarginata.

Thari e la sua forza. Thari e la sua dolcezza. Thari e il suo bellissimo viso. Come aveva fatto a cedere a qualcosa di così irreale? Per quello si trovava nel bel mezzo del Sahara.

O forse non era andata così: Thari si era innamorata di lui prima che lui potesse anche solo sapere di quel mondo di demoni che regolava la vita degli umani. Ryker emise una risata disarticolata, priva di felicità: qualsiasi ragazza che avesse frequentato era stata allontanata da lui prima che potesse diventare qualcosa di serio, perché non poteva permettersi di abbandonare la famiglia, non ancora. Ma Thari si era innamorata prima.

E mai lontananza da casa fu più reale di quella.

Si addormentò tremando di freddo, e chiedendosi se avrebbe mai rivisto il padre, Matteo e Lucrezia. Lucrezia, la sua piccola Lucrezia.

L’alba nel cielo infinito lo svegliò quando a ovest si vedevano ancora le stelle. Non si rese neppure conto di aver di nuovo iniziato a camminare e si riscosse sorpreso quando le dune sabbiose lasciarono il posto a un deserto piatto, dalla terra brulla e polverosa.

A sud est, in lontananza, delle montagne si alzavano isolate e inquietanti. Ryker sospirò e continuò a camminare sotto il sole mischiando il viso candido di Lulù a quello onice di Thari; le immagini, del tutto diverse tra loro, apparivano confuse nella sua mente stanca.

In quello stato passò due giorni, fino a quando nel tardo pomeriggio non scorse una macchina venirgli incontro.

Il ragazzo strinse le palpebre, tentando di mettere a fuoco, e nel comprendere che fosse una jeep alzò le braccia d’istinto e urlò: «Sono qui.»

La vettura lo raggiunse e ne scesero due uomini dalla carnagione olivastra che indossavano abiti europei. Uno dei due puntò un’arma corta verso di lui, mentre l’altro si avvicinava.

«Ehi, sono italiano.» Provò a dire Ryker facendo un passo indietro. Ma l’altro gli rispose in una lingua sconosciuta, con un tono alto e frettoloso. Lo afferrò per un braccio e gli chiese qualcosa.

«Sono italiano», ripeté Ryker, questa volta in inglese. «Mi sono perso e devo raggiungere l’ambasciata italiana.» La sua voce tremò di una paura atavica nell’osservare l’arma contro di lui.

«Aş-Şmt!» Fu tutto quello che gli risposero gli uomini e senza neppure tentare di comprenderlo. Quello più vicino lo tirò, allora Ryker fece resistenza e tentò di divincolarsi; l’altro non ci pensò neppure un attimo: sferrò un pugno con la destra e lo colpì in volto.

Ryker ansimò per la sorpresa più che per il dolore e il sangue gli colò lungo la guancia. Insieme i due uomini lo trascinarono dentro la macchina, dove lo ammanettarono e lo bendarono.

Nel buio completo Ryker li sentì parlare e si sentì ripetere sottovoce. «Sono italiano.»

***

Doveva essersi addormentato, perché quando la macchina si fermò fece uno scatto in avanti e da sotto la benda che gli copriva gli occhi vide filtrare luce solare.

Qualcuno lo prese e lo fece scendere fuori dal veicolo, poi lo spinse parlottando in quella che il ragazzo pensava fosse lingua araba. Lo condusse lungo un cammino rettilineo poi svoltarono un paio di volte fino a fermarsi davanti a una porta. L’altro l’aprì e lo spinse dentro, senza una parola.

Rimase immobile per diversi minuti, chiedendosi se ci fosse almeno un muscolo del suo corpo che non dolesse. E pensò che no, non c’era. Infine la porta fu aperta di nuovo e un paio di mani dalle dita, ruvide e callose, gli sciolse la benda; il possessore di quelle dita lo studiò qualche secondo e aggrottando la fronte gli domandò qualcosa.

«Non capisco.» Replicò il ragazzo senza riuscire a nascondere la frustrazione e la rabbia.

L’uomo si grattò la barba brizzolata e urlò qualcosa verso fuori. Poco dopo lo raggiunse un altro uomo, armato, che tirò fuori da una delle sue tasche un foglio logoro e ripiegato più volte su se stesso; lo aprì e lo stese per bene, mostrandolo a Ryker.

Lui lo guardò perplesso. L’uomo che era entrato per primo batté l’indice sul suo petto e poi sul foglio che rappresentava la cartina dell’Europa. Ryker allora indicò l’Italia.

Il secondo uomo agitò la pistola e borbottò qualcosa, manifestando palese dissenso. L’altro non vi badò, ripiegò la cartina girando sui tacchi e uscendo dalla stanza.

«Ehi, slegatemi le mani.»

L’uomo armato, che doveva avere una trentina di anni, sogghignò guardandolo sollevare i polsi legati, e rise ancora di più quando lo stomaco del ragazzo brontolò. Uscì chiudendo di nuovo a chiave la porta.

Ryker poggiò le spalle al muro e strinse le labbra, osservando la stanza piccola, buia e dalle pareti senza intonaco. Scivolò a terra e batté il capo al muro meccanicamente: non poteva credere a quella situazione. Imprecò sottovoce e poi rise, una risata disperata che si spense gradualmente, mentre davanti a lui si materializzava un corpo nero.

Si irrigidì e poi si rilassò mettendo a fuoco la sclera bianca delle orbite. «Thari.» Mormorò.

Lei inclinò il viso, con un’espressione molto seria. «Almeno te la ridi.» Commentò, inchinandosi sulle gambe.

«Mio Dio» replicò lui. «Questa volta spero che tu sia reale, dimmi che sei reale, che sei qui e mi porterai via.»

Lei osservò il taglio che il ragazzo aveva sotto l’occhio, provocato dal pugno che gli avevano dato. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse; quindi allungò una mano e la poggiò sulla sua guancia.

Lui rimase immobile avvertendo il calore che emanava dal palmo di lei. «Mi dispiace.» Disse a bassa voce. «Thari, mi dispiace davvero. Non stavo scappando… da te. Io non lo so perché l’ho fatto.»

Lei gli fece cenno di fare silenzio. «Vuoi rimanere qui o tornare a casa di Iside?» Chiese atona, alzandosi e senza guardarlo.

«Tornare con te

Lo fissò per un minuto interminabile, infine lo sollevò da terra con la solita facilità e aggrottò la fronte. «Sei sicuro?»

Lui scosse il capo. «Pensi davvero…»

«Allora chiudi gli occhi.» Lo interruppe, gelida.

«Perché?»

«Chiudi gli occhi e basta, Ryker. Chiudi gli occhi e fai silenzio; entrambe le cose fino a che non dico il contrario.»

***

Il gorgogliare di una delle fontane della casa riempiva l’eco di un’allegria sommessa, tra le pareti senza tempo che silenziose raccoglievano i movimenti calcolati del demone e dell’umano. Ryker aveva mangiato e fatto una doccia, infine aveva dormito a lungo nel letto a baldacchino in cui aveva sempre dormito quei giorni.

Doveva essere primo pomeriggio e le tende frusciavano leggere. Spostò la mano sul cuscino setoso ed emise un sospiro appena percepibile. Cinque dita vellutate si poggiarono lentamente sulle sue; il tocco di una farfalla che si posa su un fiore; il calore di un raggio di sole.

«Ryker?»

La sua voce era troppo dolce, una dolcezza che stordiva, perché lei lo stordiva. Con il dolore graffiante; la rabbia millenaria; l’amore serico, tenero e sensuale. Quel sentimento puro penetrava nella pelle, un veleno troppo buono. Il tuo amore mi ucciderà.

«Ryker?»

Ripetilo mille e mille volte; e non mi basterà. Il proprio nome che risuonava cristallino sulle labbra di lei; breve. Così breve. E nient’altro sarebbe stato concesso loro.

«Ryker. Perché non mi rispondi?» La nota di paura; l’infrangersi del cuore su scogli taglienti privi di pietà.

«Thari?» Poteva chiamarla senza guastare quei fragili lembi di perfezione?

Lei spostò la mano e lui aprì gli occhi. Non poteva. Thari voltò il viso, nascondendo emozioni e paure. Sedeva sul bordo del letto, le mani sul grembo, le ali congiunte quasi in una preghiera. «Come stai?» Domandò fissando l’arco della porta.

Lui si mosse lentamente e si mise a sedere. «Tu come stai?»

Il modo in cui lei voltò il viso verso di lui, il modo in cui i suoi occhi tremarono appena, gli fecero pensare che, pochissime persone nella sua lunga vita le avessero posto quella domanda.

Thari passò le dita sottili sulle pieghe del lenzuolo, un rosso ramato che si perdeva nell’oscurità della sua pelle. «Perché sei andato via?»

Che gioco era quello di porsi solo domande? Che gioco è quello in cui una donna chiede solo per farsi del male? Vanth Kriera Nefthari era troppo umana e lo era troppo poco.

Ryker si piegò in avanti, le prese un polso con delicatezza e l’attrasse a sé, tenendola stretta in un abbraccio di piume e respiri. Se lei non avesse chiesto, se lei non si fosse innamorata, se lei non fosse stata un demone. «Credo che quegli uomini stessero pensando a un riscatto. Forse speravano fossi di qualche altra nazionalità.»

Lei esitò e poi sciolse l’abbraccio. «Perché? Perché sei andato via? Perché adesso? Perché così?» Solo un rivolo di disperazione avvinghiato a quel timbro scevro da qualsiasi tipo di collera.

«Non dovresti chiedermelo. Lo sai perché l’ho fatto. Tu non c’eri e io» qualsiasi parola avrebbe fatto male «Thari, io impazzisco qui. Ho bisogno di tornare a casa.»

Lei annuì e si alzò. Lui fece lo stesso, tenendo stresso addosso alla vita quell’unica stoffa che da giorni era il suo vestito. Voleva dirle che le dispiaceva, che per lui era doloroso. Tuttavia lei si fermò e puntò gli occhi in quelli di lui. «Non posso tenerti qui contro la tua volontà, come Figlia di Ananke non posso in nessun modo intaccare il tuo libero arbitrio. Ma non condivido questa scelta: la trovo avventata, egoistica, illogica. La trovo stupida.»

La sofferenza che stillava ora da quella rabbia non fu abbastanza. «Te la dico io una cosa che non puoi capire: questo; l’amore per la famiglia, la normalità della vita. Il bisogno di logica e concretezza.»

Lei alzò il viso. «Non è questo il punto, Ryker. Non dobbiamo per forza capirci, non te l’ho neppure mai chiesto; il punto è che se sei qui è perché ne va della tua vita, oltre che della mia. È perché se non è la vita a essere in pericolo è la tua sanità mentale, e lo hai visto da solo cosa vuol dire. Aspettare che la situazione si calmi è un compito duro per te, lo so, ma non attendere qui è da sciocchi.»

«Io devo tornare. La mia famiglia ha bisogno di me.» Replicò lui laconico.

Le estremità delle sue ali si mossero in un movimento piccolissimo, fendendo l’aria dietro di sé. «La tua famiglia non ti avrà più, se torni adesso. Qualche demone vorrà farti rinascere; non lo capisci?»

Ryker fece uno scatto con la mano. «Oh, basta con questa storia del rinascere: uccidere! Uccidere! Voi uccidete le persone, voi vi uccidete a vicenda. Tu uccidi. E mi hai coinvolto in questo casino.»

Thari fece per rispondere, ma le parole le vennero meno e richiuse la bocca distogliendo lo sguardo. Si morse l’interno della guancia fino a sentire il sapore metallico del suo sangue umano; il tentativo di non manifestare nessuna emozione che falliva miseramente sugli angoli piegati delle sopracciglia, gli angoli della bocca, sotto le palpebre semisocchiuse.

Il tuo amore mi ucciderà.

«Lasciami solo, per favore.»




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Non so, questo capitolo non mi soddisfa.



sabato 2 ottobre 2010

Ecco le nubi alte nel cielo,

e tu ora lontano,

e dentro il mio cuore;

la pioggia che canta

leggera sul prato,

armoniosa, di noi,

il nostro amore,

dolce, un po' ingenuo;

nell'aria fresca,

sulla terra calda,

un tuo abbraccio

mi scorre nelle vene.

Il sapore bagnato,

che fluttua intorno a me,

il sapore della tua bocca,

che mi accarezza,

gentile, le labbra.

Dolce bimbo,

queste parole che odi

sono vecchie come il tempo,

ma i miei sentimenti

son di bambina!

agosto '02

to You