lunedì 20 settembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.8

Parte seconda
Capitolo 8

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I feel so light
This is all I want to feel tonight
I feel so light
Tonight and the rest of my life

Nina Gordon - Tonight And The Rest Of My Life

Anno 2010

Un soffio leggero e caldo scivolava morbido nell’aria, carezze disperse che si rincorrevano tra loro srotolandosi allegre e accarezzando la pelle con delicatezza.

Una sensazione di beatitudine avvolgeva la mente rilassata di Ryker nelle giornate tiepide dell’estate. L’estate. Il ragazzo spalancò gli occhi e fissò un soffitto beige con piccoli intagli floreali. Si mise a sedere e si guardò intorno confuso: era in un grosso letto a baldacchino e intorno vi erano tende color pesca che svolazzavano appena. C’era un'unica porta, con doppie ante, e nessuna finestra. La stanza era molto ampia e lui si trovava al centro di esse.

Aveva semplici lenzuola di cotone eppure non sentiva freddo. Scese dal letto e si accorse di non indossare nulla, a parte una stoffa colorata intorno alla vita, che dovette legare meglio per non farla cadere. Traballò sulle gambe, ma appena si rese conto di poter camminare, uscì dalla porta.

Non aveva pensato a cosa si sarebbe trovato fuori, tuttavia non si era aspettato di vedere una fontana con acqua cristallina in una grande stanza ottagonale. Rimase fermo qualche secondo, notando che su ogni lato c’era una porta. «Ehi, c’è nessuno?» Gli risposero i giochi gorgoglianti dell’acqua.

Preso da isterismo, all’improvviso iniziò a percorrere lo spazio esterno di quella sorta di sala e aprì tutte le porte. In ognuna di esse si trovava un letto matrimoniale, tutti molto diversi tra loro e dalle forme insolite.

Quando le ebbe aperte tutte, fissò la scala in marmo che partiva da un lato della fontana e saliva verso il soffitto a cupola. Esitò un solo istante, poi salì i gradini di corsa e ben presto si ritrovò al centro di un’altra sala, questa volta esagonale. Su tre lati vi erano l’inizio di altre scale. Negli altri angoli colonne dorate, sulle pareti bassorilievi bianchi contornate da tende in broccato e sul pavimento un complicato mosaico. «Dove diavolo sono?» Gridò.

Era indeciso sulla direzione da prendere, ma quando si decise udì un battito d’ali. «Ryker, non dovevi essere già sveglio.»

Lui fissò la ragazza accigliata davanti a sé. Si era fermata a qualche metro da lui e lo stava fissando a sua volta. «Dove diamine sono?» Domandò con voce dura.

Lei si morse un labbro. «Ryker, tu non…»

«Thari! Dimmi dove siamo.»

Il demone spostò lo sguardo. «Nel deserto.»

Lui emise un suono molto simile a una risata, benché fosse lontana dall’essere felice. «Ti prego dimmi che non è quello penso. Dimmi che non è il Sahara.»

«Ti trovi a casa di Iside. Deserto del Sahara, Libia.» Fece un passo verso di lui. «Torna a letto, hai…»

«Perché? Dimmi solo perché.»

«Dissanguamento, trauma cranico e frattura dell’omero, dell’ulna e del radio. I motivi principali. Ferite ovunque, perdita di coscienza, trauma psicologico. Necessità di metterti al sicuro.»

«E non potevi portarmi in un ospedale? Un ospedale di Roma.»

Lei scosse il capo. «Avevo bisogno di cure anche io.»

«Da quanto sono qui?»

Le ali di Thari, chiuse dietro la schiena, spostarono un poco l’aria attorno a lei. «Quarantadue giorni.»

«Che cosa?»

«Ryker, mi dispiace.» La ragazza gli si avvicinò e gli toccò un braccio. «Avevi bisogno di essere curato, curato da noi. Avevi bisogno di stare qui. Ricordi? Pochi umani, pochi demoni.» Lui si spostò, guardandola male. «Non so cosa ricordi della sera in cui sei stato ferito, hai perso conoscenza più di una volta. Non potevi rimanere in Italia; non potevi stare in nessun posto che non fosse come questo, al riparo da altri attacchi. E vale anche per me. Iside ci ha portati qui subito dopo perché non avrebbe potuto fare altro; ti ha curato come curiamo noi gli esseri umani e… ha fatto la cosa migliore.»

«Forse avrei dovuto scegliere io quale fosse la cosa migliore per me.» Ryker strinse le palpebre. «Portami a casa.»

«Non posso. Tu non puoi.»

«Mi stai tenendo prigioniero qui?»

Lei esitò. «No. Non mi è permesso. Ma faresti la scelta sbagliata, hai bisogno di rimetterti in sesto, hai bisogno di essere protetto e io… ho bisogno che tu rimanga qui. Temo che molto presto qualcuno verrà a sapere, anzi forse già sanno, e non so cosa succederà allora.»

Ryker si voltò e si passò una mano sulla fronte. «La mia famiglia ha bisogno di me.»

«La tua famiglia sarà in pericolo se torni a casa.»

Sospirò. «Mi avranno dato per morto.»

«Rapito. Per avere un riscatto.»

Lui aggrottò la fronte girandosi a guardarla. «Che vuol dire?»

«È ciò che sanno. La polizia ti sta cercando e sa che alcuni rapitori ti tengono segregato da qualche parte; hanno già chiesto i soldi.»

«E chi lo avrebbe fatto?»

«Iside. Ovviamente non vuole i soldi, ma la polizia non gliene darà. La cosa importante è che fino a che rimarrà aperta questa pista, in pochi ti daranno per morto; e immagino sia quello che volevi.»

«Io non volevo niente di tutto ciò!» Sbottò. «Dimmi la verità, Thari, che succederà alla fine di questa storia?»

Lei sospirò. «Non lo so. Non lo so più. Con ogni probabilità, tu avrai dei vuoti di memoria e io… beh, lo sai.»

Lo sapeva; lei glielo aveva rivelato quel giorno sopra al Colosseo.

«Mi dispiace, davvero. Spero che il giorno in cui succederà arrivi presto, così tornerai a vivere la tua vita. Al sicuro.»

«Tu però perderai la tua essenza come figlia di Ananke.»

Annuì.

«Perché speri che succeda presto, allora?»

«Non mi credi, quando dico che mi dispiace? Che mi dispiace per te, che vorrei solo che la tua vita tornasse quella di prima?»

Ryker chiuse gli occhi. «Credo che impazzirò. Questo credo.»

***

«Vuoi dire che in queste stanze ci sono tutti letti, nonostante voi non abbiate bisogno di dormire?»

«Iside li colleziona.»

«Lo trovo ridicolo.»

Thari si strinse nelle spalle, salendo le scale davanti a lui. «Anche voi umani collezionate cose ridicole.» Replicò adamantina e cambiò argomento. «Ho preso della frutta, perché sapevo che ti saresti svegliato. Ma non ho nient’altro. Andrò a prendere qualcosa.»

«Dove?»

«In qualche villaggio degli umani.» Rispose con ovvietà. «Sono lontani da qui, ma non ci mettiamo molto a spostarci noi demoni.»

«Questo è davvero un posto strano per una che parla come Dante Alighieri.» Commentò osservando una composizione tipica dell’arte contemporanea che percorreva tutta la parete. «Poi spiegami perché dovrebbe avere una casa come questa, anzi spiegami come fa ad avere una casa come questa? Con tanto di scale in marmo, luci, bocche d’aria, e acqua corrente in pieno deserto.»

«Non puoi capire.»

«Provaci.»

«Avete mai capito come hanno fatto le piramidi e a che periodo risalgono?» Si voltò e lo guardò negli occhi. «Te lo dico io, no. Quindi non puoi capire; non me lo chiedere.» In silenzio ripresero a salire, fino a che la scala non si fece ampia e molto luminosa.

Luce naturale.

Ryker sgranò gli occhi osservando lo spazio che si apriva intorno a lui e che presentava sul pavimento erba verde e mattonelle da giardino. Il soffitto, non molto alto, era un intreccio di fiori e stelle disegnati con colori pastello. E sui due lati più corti vi erano due balconate gemelle che si affacciavano sul deserto sabbioso.

«Questo è quello che Iside chiama il terrazzo. Bello, vero?»

Il ragazzo chiuse la bocca e osservò l’acqua uscire dalle anfore di due putti, le torce bruciare nella semioscurità dei lati più lunghi, i divani bianchi e i tavolini in vimini accanto alla piccola fontana. Nell’aria si respirava un profumo di vaniglia appena dolciastro equilibrato da un leggero odore di menta. «Direi che “bello” è riduttivo. È meraviglioso.»

Lei sorrise e aprì le ali muovendole lentamente avanti e indietro. «Sono cresciuta qui, con lei.»

Ryker ebbe l’impulso di abbracciarla, per via del tono malinconico con cui lo aveva detto e l’espressione da bambina che si era disegnata sul volto scuro. Invece, spostò lo sguardo verso le dune sabbiose e il cielo intenso del Sahara. «Provi piacere a uccidere?» Domandò continuando a fissare il celeste contro il deserto.

Lei richiuse le ali. «Cosa vuoi sapere?»

«Proprio quello che ti ho chiesto.»

«Allora, forse, la risposta già la conosci.»

Nelle note della voce vibrò il senso di colpa e lui si voltò verso di lei. «Ti dispiace?»

Thari fece una smorfia. «Fa parte del gioco. Del dovere. Fa parte di ciò che sono: far rinascere gli umani, come del resto altri demoni, è una cosa naturale. Serve a mantenere l’equilibrio.»

«Ma perché provare piacere?» Insistette lui.

«Iside sostiene che sia come la riproduzione: una sorta di dovere di ogni specie, aiutata dal puro piacere dell’atto sessuale.»

Ryker aggrottò la fronte, poi scoppiò a ridere. «Iside dice questo? Forse la devo rivalutare.» Osservò.

I giorni erano troppo lenti, il deserto oltremodo silenzioso, e Ryker credeva che avrebbe finito per contare i secondi, soprattutto quando Thari andava via. Gli aveva detto che andava a prendere da mangiare per lui e lui non pensava che potesse non essere così. Quello che lei riteneva il suo lavoro, a suo dire, lo stava svolgendo Iside, caricandosi del dovere di entrambe, e lui era certo che lei non stesse mentendo.

Le faceva moltissime domande, tuttavia lei non rispondeva o rimaneva vaga sulle risposte che secondo lei lo avrebbero solo scosso. ‘Era un umano e non poteva capire’ era la risposta più frequente.

Thari lo osservava spesso da sotto la frangia candida dei capelli, ma quando lui la sorprendeva, spostava lo sguardo, imbarazzata, fingendo di analizzare qualsiasi cosa avesse in mano o davanti a sé. Seguire i suoi discorsi era difficile, poiché lei parlava di Iside e della sua vita di frequente, ma nei racconti lasciava lacune che non sarebbero mai state colmate. Ryker ascoltava quella voce cristallina, perplesso e affascinato.

A volte si svegliava di soprassalto senza ricordare dove fosse, aveva gli incubi e una costante agitazione. Stringeva in vita l’unico vestito di cui disponeva e faceva la doccia nei bagni ultra moderni di quella casa due volte al giorno. Ne erano passati solo cinque da quando si era svegliato nel letto a baldacchino, eppure gli sembrava un tempo senza fine. Pensava che la sua seduta di tesi era saltata e che la sua famiglia con ogni probabilità si stesse disperando. Non era giusto.

Rimosse quel pensiero scrollando il corpo.

Sul terrazzo coperto Thari puliva la sua spada con attenzione maniacale. Lui si accucciò davanti a lei e con delicatezza gliela tolse dalle mani, prendendo l’elsa. «Puoi uccidermi con questa?»

Lei spalancò gli occhi. «No.»

«Lo immaginavo. Nessuno l’ha mai usata su di me, neppure per farmi un graffietto.» Si mise in piedi e lei lo imitò. «Mi piacerebbe imparare a usare una spada, dovrebbe essere eccitante.» La mosse nell’aria e poi la inclinò piano, osservando il riflesso cinabro del fuoco delle torce muoversi sulla lama. «Quando hai ucciso quel demone, il primo, dal suo corpo è uscito un sangue chiaro, come se fosse latte.»

«Non era latte, era l’effetto della luna sul sangue azzurro. Tutte le creature superiori hanno il sangue azzurro.» Ridacchiò. «Ora sai perché i nobili affermavano di avere il sangue blu.»

Lui si riempì della risata soffusa di lei, infine posò l’arma sul tavolino. «Non ti ho mai ringraziata per quella sera a Vill’Ada. Per me è successo così tutto in fretta, ancora non so se sia reale. Però, grazie.»

«Prego.» Replicò lei troppo velocemente. Si spostò per accentuare la distanza tra di loro, poi trasse un lungo respiro. «Anche io devo ringraziarti per quella sera: se tu non fossi saltato addosso al mio amico angioletto, forse a quest’ora dovrei fare i conti con Ade.»

Ryker le mostrò i denti bianchi e perfetti. «Sei divertente. Te l’ho mai detto?»

Lei gli lanciò un’occhiata. «Oh, ben inteso, Ade non esiste, non quello che vi siete inventato voi, almeno.»

Il ragazzo inclinò il capo. «Dicevi che non esistono neppure gli angeli.»

«A dire il vero, è una sorta di presa in giro nei confronti dei Figli della Luce. Non so bene il motivo, ma è sempre stato così e loro non amano farsi chiamare da noi in questo modo, mentre lo apprezzano se sono gli umani a farlo. Ma gli umani non possono capire.»

«Ovviamente.» Replicò lui sarcastico, poi tornò serio. «Perché ce l’hanno con te, Thari? Perché ce l’hanno con te così tanto e trovano divertente farti soffrire?»

Non era molto più bassa di lui, sicuramente superava il metro e settanta, tuttavia, all’improvviso, sembrò farsi minuta e con l’espressione mesta di una bambina. Fece un altro passo indietro. «Lo sai perché. Non mi ritengono all’altezza e, visto questo pasticcio che ho combinato, forse hanno ragione. Per loro sono quello che voi chiamate mezzosangue: il mio corpo ha sangue umano, sangue rosso. È un corpo a metà, un corpo difettoso.»

«Il tuo corpo è bellissimo così com’è.» Ryker riempì la distanza che lei aveva creato, e con una mano le sfiorò i capelli. «Perché mi hai seguito per tutti questi anni?» Domandò in un sussurro, osservando le piume vibrare appena.

«Io non… non… Io…» Thari sapeva che stava balbettando e si sforzò di mantenere la voce ferma. «Per una serie di motivi che non posso dirti.» Riuscì a dire.

«Perché sono un essere umano?» Scherzò con voce calda, e le tirò una ciocca.

La ragazza non rispose.

Lui l’aveva vista combattere, uccidere e godere del piacere di quell’atto. L’aveva vista difendere lei stessa e lui, e aveva perso il ritmo dei suoi colpi perché lei era troppo veloce. Non l’aveva mai vista tirasi indietro.

Eppure il proprio sguardo la faceva tremare.

Le labbra di lei, piene e soffici, avevano assaporato il gusto della morte e ora lui desiderava solo farle sue. Contemplò i lineamenti delicati di lei, il naso proporzionato, gli occhi neri che mettevano i brividi e che adesso si muovevano frenetici cercando in lui qualcosa che lei non osava chiedere.

Con il battito appena un po’ accelerato e la mente persa in un senso di irrazionalità, Ryker piegò il viso e sfiorò le labbra di Thari. Se lei era la Morte, quella era una Morte morbidissima, e lui ne assaporò il gusto fresco, la pelle liscia come petali di fiore.

Il cuore di lei, invece, le rimbombava nelle orecchie, mentre schiudeva la bocca sotto la leggera pressione di lui. Chiuse gli occhi seguendo la danza lenta e calda delle loro lingue; ricambiando quel bacio che mai avrebbe sperato.

Ryker indugiò con le labbra sulle sue e poi allontanò il viso. Scosse il capo, con un movimento leggero, un poco sconsolato. «Quando tutto questo finirà, io sarò un uomo fuori di senno.» Bisbigliò. «Dimmi che non è vero. Dimmi che sto solo sognando.»

Lei avrebbe voluto chiedere l’esatto contrario. Dimmi che è vero, dimmi che non è solo un sogno. Si limitò a fissarlo in silenzio, fino a che lui non tornò a baciarla.


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Grazie ancora a chi sta seguendo questa avventura.

Quando dicevo che i personaggi iniziavano a muoversi da soli, intendevo proprio questo: non avevo previsto che si sarebbero baciati...

Sul modo di dire "sangue blu" esistono diverse teorie, ovviamente questa è la mia ;)

Nel mio progetto iniziale i capitoli dovevano essere 8 -nel totale- ma a quanto pare li supererò.




domenica 19 settembre 2010

Tu luna

Tu luna, che te ne stai nel cielo, sola,
ma sei veramente così sola?
o quelle stelle, vive o morte che siano,
accompagnano il tuo spirito segreto?

Tu luna, grande specchio del sole
accompagni la terra nel suo lungo cammino.

Tu luna, immensa perla dorata,
illumini la mia malinconica figura,
trascinandomi con te
come trascini i lupi nella profonda notte.

Tu luna, che sei l’unico essere desto nella notte
e che ora te ne vai per far nascere l’alba.

novembre 1995

(oh, cielo... il '95, ero una bimba!!!)

venerdì 17 settembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.7

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Capitolo 7

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(Pray) Cause nobody ever survives
Prayin' to stay in your arms just
Until I can die a little longer
Saviors and saints,
Devils and heathens alike
She'll eat you alive

Puscifer - Rev 22:20

Anno 2010

Ryker sbatté le palpebre più volte, ma la notte restava notte e la paura rimaneva paura.

Il demone donna davanti a lui si schiarì la voce con fare teatrale. «Ryker Mancini, l’amichetto di Thari.» Esordì con voce soave. «Sekhmet sosteneva che eri un bel ragazzo e non posso darle torto. Sostiene anche che tu sia molto divertente, tuttavia devo ancora valutare la situazione.» Fece un passo indietro e indicò lo spazio accanto a loro. «Conosci l’uscita più vicina del parco?»

Lui non era neppure in grado di risponderle. Rimase immobile con i gomiti conficcati nel terreno fangoso.

«Mmm» commentò l’altra. «Non era la risposta che mi aspettavo.» Mosse la testa e i capelli chiarissimi rifletterono i raggi lunari. «Facciamo così, io ti dico dove andare e tu ti alzi e te ne vai. Ti do tre minuti, se arrivi all’uscita prima dei tre minuti, non ti darò più fastidio.» Lo prese con entrambe le mani e lo mise in piedi come avrebbe potuto fare con un bambino piccolo. «Vai, bimbo biodo, l’uscita e di là.» Indicò con un dito verso destra e gli diede una leggera spinta. «Corri.» Sussurrò.

Ryker corse. Corse veloce verso il pendio che la donna gli aveva indicato. Corse perché a spingerlo era stata l’ultima parola di lei, non il significato, bensì la carezza gelida che lo aveva accarezzato fin sotto i vestiti, mentre la pronunciava.

Non sapeva se le sue gambe stessero andando veloci, non sapeva se stesse ancora respirando, ma sapeva che i tre minuti che il demone gli aveva dato non erano passati quando inciampò e si ritrovò di nuovo a terra. Qualcosa lo spinse e lui rotolò lungo la collina; quando solo poco dopo riuscì a ordinare alle mani di fermarlo, pensò che il suo istinto di sopravvivenza doveva essere andato in tilt. Nell’aria si udì un fruscio e subito dopo lui fu sollevato e lasciato di nuovo.

Il demone comparse davanti a lui e rise con fare innocente, facendo ballare i boccoli che le incorniciavano il viso. «Ebbene, devo ammettere che ora sei anche divertente.»

Il ragazzo rispose con un lamento sommesso che fece ridere ancora di più la creatura alata. Con un movimento troppo veloce per lui, lei lo spinse e lo bloccò a terra con un piede.

«La mezza umana ogni tanto fa qualcosa di buono per noi sorelline. Sai, le regole sono così ferree che tutto diventa di una noia infinita.» Lo lasciò, staccandosi dal terreno e svolazzando su di lui con la spensieratezza di una farfalla.

Ryker, però, non aveva in mente né farfalle, né momenti spensierati; pur stando a terra, ebbe la sensazione di una vertigine. La mente si annebbiò e subito dopo si schiarì nella percezione inconfondibile del dolore.

L’estremità di un’ala del demone gli perforava la coscia destra. Boccheggiò incredulo e, quando lei estrasse l’ala, senza neppure pensarci, lui si girò su se stesso e tentò una fuga carponi. Non si rendeva neppure conto di quanto il tentativo fosse vano.

La donna lo afferrò per le gambe, strattonandolo così velocemente che Ryker perse l’aria nei polmoni e, quando la ritrovò, il gelo sembrò penetrargli fino allo stomaco. Scalciò con tutta la forza che aveva nel corpo e per alcuni, brevissimi, istanti pensò di essere riuscito nell’intento di liberarsi. Tuttavia il demone lo tirò in piedi con un unico movimento e lo scosse a una velocità non umana.

Se ne avesse avuto la capacità, avrebbe urlato, ma ancora una volta, si sentiva come ovattato; come se galleggiasse dentro un incubo. E si sarebbe abbandonato presto a quella sensazione, se lei non lo avesse lasciato all’improvviso, lasciandolo accasciare a terra.

Ryker aprì la bocca in cerca di ossigeno e i suoi occhi pieni di lacrime brucianti intravidero la figura nera di un altro demone, che planava verso di loro con una spada in mano.

La creatura che fino ad ora lo aveva torturato, estrasse la propria arma dal fodero dietro la schiena, e la piegò un poco davanti a sé, pronta a parare l’attacco. Le ali spalancate, il corpo teso, fu ciò che riuscì a cogliere Ryker prima che le lame stridessero tra loro.

Ciò che venne dopo fu un movimento di corpi neri, ali grigie e spade bianche. Rapido, troppo rapido per lui.

Non riusciva a distinguere le due figure: solo prima che l’altro demone colpisse l'aguzzina, ne aveva intravisto la sclera chiara, ora non poteva sapere chi fosse chi. Strinse i denti, per non farsi distrarre dal dolore alla coscia e si concentrò sul suono cadenzato delle armi che si scontravano.

Una danza frenetica, uno spazio quasi illimitato tra cielo e terra.

Thari deviò un colpo scartando su un lato, saltò agile, contrattaccò e di nuovo parò. L’altra prese l’elsa della spada con due mani e innalzandola la scagliò sulla ragazza, che bloccò il movimento con la propria arma.

Ignare del vento gelido di febbraio, continuarono il duello, fino a che le loro armi non si incastrarono insieme. Un silenzio irreale scese sotto gli alti pini della villa. Thari guardò l’altra negli occhi liquidi. «Se te ne vai e prometti di lasciarlo in pace, farò lo stesso con te.»

L’altro demone alzò il mento e digrignò i denti lampeggianti nell’oscurità. Con un colpo delle ali si spostò indietro, liberando le armi, e con una sola ala mirò alle gambe della ragazza, che le piegò verso l’alto e di nuovo tornò all’attacco. Schivarono e sferrarono colpi fluidi e precisi, e troppo veloci per gli occhi di Ryker. Il tempo in cui si muovevano era qualcosa di non calcolabile in termini umani.

La donna che aveva rapito il ragazzo indietreggiò e attaccò. In quel momento la punta della spada di Thari compì un cerchio perfetto nell’aria, scintillando sotto i raggi della luna, e subito dopo inserendosi nello spazio creatosi tra l’arma dell’avversaria e il torace della stessa; colpì l’altro demone su un fianco, e di nuovo uscì da quel corpo nero. Infine, con un’unica velocissima mossa, si conficcò nel petto del demone, all’altezza del cuore, schizzando sangue ceruleo.

Ci fu un attimo di immobilità, poi dallo squarcio uscì una luce densa, che divenne sempre più scura. Ryker non riusciva a capire cosa fosse, ai suoi occhi sembrava nebbia nera che brillava di luce propria, contro ogni legge fisica; guardò Thari leccarsi lentamente le labbra e alzare il mento. Lei chiuse gli occhi e deglutì, il piacere disegnato sul volto nitido nella notte lattiginosa. Quando estrasse l’arma, il corpo dell’altra sparì in onde acquose, come un miraggio. Respirò a fondo, riprendendo il controllo di sé e del suo corpo.

Ryker, con i gomiti ancora a terra, indietreggiò vedendola arrivare.

Senza una parola, lei si chinò su di lui, lasciò sull’erba la spada e gli prese la gamba ferita. La studiò per qualche secondo e poi vi poggiò sopra il palmo della mano per diversi minuti. Quando la lasciò, cercò di riavvicinare i lembi laceri dei vestiti. «Mi dispiace per tutto questo, Ryker.»

Lui la scrutò in volto per alcuni istanti, incerto su cosa dire. «Grazie per avermi salvato.» Disse con voce roca per non aver parlato fino a quel momento.

Thari fece per rispondere, ma si voltò di scatto e afferrò la spada. Si allontanò con due passi volanti e Ryker udì lo stridore di due lame; si mise a sedere, senza riuscire a capire: la ragazza sembrava combattere da sola con l’aria, girando su se stessa, torcendosi, scartando e attaccando; e continuò a farlo per cinque lunghissimi minuti, fino a che il nulla con cui stava combattendo la spinse verso un albero dal tronco largo e le radici nodose, bloccandole i polsi sopra il capo.

Ryker si alzò. Stava per avvicinarsi, ma davanti alla ragazza si materializzò una luce intensa che disegnò un corpo candido, di circa due metri, dalle ali diafane. La figura - dai capelli di un biondo splendente, e la pelle accesa come avesse una fonte di luce dentro di sé - teneva un pugnale conficcato nell’addome di Thari; senza lasciarla, si voltò a guardare il ragazzo.

«Ehi, piccolo umano, vuoi vedere come sanguina di rosso la tua amica?»

Estrasse l’arma e la spinse di nuovo dentro il ventre di lei, che ansimò. Anche Ryker ansimò.

Il cuore gli rimbombava ovunque potesse, la rabbia e la paura sembravano soffocarlo. Gli occhi azzurri come il cielo d’estate della creatura gli sorrisero, quasi con compassione; forse fu quello che gli diede la forza per slanciarsi verso di loro e saltare contro l’uomo alato.

«Ryker, no

Il grido di Thari lo raggiunse quando lui stava già volando indietro. Niente attutì il colpo sulla schiena, ma non ebbe il tempo di pensarci: il demone angelico, lo afferrò e, sollevatolo da terra, lo fissò. La sua algida bellezza fece rabbrividire il ragazzo. «Sei troppo lento per potermi saltare addosso, umano.» Commentò con tono pacato. «Non hai demoni della rinascita alle calcagna, credo che la tua vita debba essere ancora lunga, salvo errori di Sekhmet.» Aveva le sopracciglia così chiare che sembrava non ne avesse, tuttavia ne alzò una, quando Ryker cercò di liberarsi dalla sua presa. «Stai calmo, non desidero te. Voglio la piccola demone, figlia di Ananke.»

«Se lei muore» riuscì a rispondere l’altro cercando di vedere dove fosse Thari, «muoio anche io. Sono io che ne so troppo, prenditela con me.»

Il demone sorrise con dolcezza. «Non sai neppure di cosa parli. Le leggi che regolano tutto ciò non ti sono note, ed è bene che non lo siano. Ma sappi che un demone della rinascita in meno equivale ad almeno una decina di vite umane in più.»

Mentre diceva quelle parole, l’aria frusciò di piume e di freddo.

Sekhmet Nesert si materializzò accanto a loro. «Ehi, angioletto, non è con lui che dovresti stare a chiacchierare.»

La creatura bianca poggiò Ryker e la guardò. «Ricordati che non puoi farlo rinascere.»

«So benissimo cosa posso o non posso fare.» Replicò Sekhmet e strattonò il ragazzo. «Non ti ho fatto venire qui per questo.» Con un’ala sfiorò la guancia della sua preda, che si accigliò al morbido tocco delle piume. «So che gli umani ti piacciono...» Con la stessa ala incise la pelle del giovane lungo il collo che, poco prima, fuori la villa, era coperto dai vestiti ben chiusi.

«Lascialo

Sekhmet sorrise soddisfatta nell’udire quel sussurro leggero dietro di loro. Inclinò appena il capo verso Thari. «Ma sei qui per lei, vero?» Non attese la risposta del luminoso demone, scagliò Ryker a una decina di metri da loro e subito dopo gli fu sopra.

Era magra e longilinea, aveva lunghissimi capelli voluminosi; e gli occhi neri parevano avere una tempesta elettrica dentro le orbite. Lampi cremisi riempivano il suo sguardo, che si posò sicuro sul corpo ansimante di Ryker.

Lì dove Thari lo aveva guarito, lei affondò una serie di colpi, lacerando stoffa e carne. Lui lanciò urla spezzate, che non riusciva a trattenere, e quando lei gli strappò i vestiti con le mani, il freddo che sbatté con veemenza contro la sua pelle sanguinante fu un piacevole anestetico.

Le immagini si confusero, il buio lo assalì e la paura lo divorò. Poi volò; in una frazione di secondo. Non sapeva da dove a dove stesse volando - in vero, troppe erano le cose che non riusciva a comprendere da quando si era ritrovato nel parco - tuttavia avvertì l’urto con la terra bagnata, la stessa su cui quel giorno era caduta la neve immacolata.

Un grido si sprigionò dai suoi polmoni, mentre una fitta di dolore dal suo braccio si espandeva su tutto il corpo. Fu l’ultima cosa che udì.

***

Thari rantolò nel sentire le prime urla di Ryker. «Dovresti salvare gli umani: è questo il tuo compito.» Disse rivolta all’essere bianco con un filo di voce. Si sedette sui talloni, con l’intenzione di alzarsi, ma l’uomo la bloccò.

«Non ha intenzione di farlo rinascere. E non potrebbe farlo, senza infrangere le leggi». Si chinò su di lei e subito dopo l’aiutò ad alzarsi.

La ragazza lo guardò negli occhi. «Se riuscisse a farlo apparire come un incidente, potrebbe anche farlo. Vattene e permettimi di salvarlo.»

Lui abbassò il mento verso di lei e lasciò che il silenzio fosse riempito da urla e lamenti di Ryker. «Perché ti interessa così tanto? È solo un umano e prima o poi rinascerà. Non puoi esser interessata a lui e io non me ne andrò.»

Thari serrò i pugni. Aveva il torace pieno di ferite, ma nessuno dei due aveva una spada in mano: nella frazione di un secondo, valutò la possibilità di attaccare. Le sue braccia si mossero prima di avere il permesso, si scagliarono contro l’uomo con raffiche veloci, colpendolo ovunque potesse.

L’altro, dopo un attimo di incertezza, parò e rispose all’attacco. Di nuovo i movimenti furono troppo veloci, i muscoli tesi al massimo, le ali frementi. Un corpo a corpo tra un essere del tutto bianco e uno del tutto nero, egualmente forti.

Ma Thari era stanca, perdeva sangue dalle troppe ferite che aveva nel corpo, e le grida e la paura di Ryker riempivano la sua mente annebbiata. L’altro la bloccò e con forza la costrinse a inginocchiarsi a terra, facendole perdere il respiro. In piedi dietro di lei, le afferrò i capelli e le strattonò il capo all’indietro; si piegò appena in avanti, in modo da guardarla in viso. «È davvero sciocco da parte tua esserti ritrovata in questa situazione per un misero umano.»

Lei sollevò le mani per afferrare i polsi di lui, ma non riuscì a liberarsi e il demone la trascinò lungo il prato in direzione della spada bianca, che brillava di luna sull’erba scura. Poi l’uomo si fermò bruscamente e la lasciò. Thari sorrise afflosciandosi sul terreno sconnesso.

Con una velocità inaudita un’altra spada tagliò l’aria della notte, emettendo un leggerissimo sibilo. L’uomo tentò di correre verso la propria arma, ma dare le spalle all’avversaria gli fu fatale: la lama penetrò nella schiena, poco sotto le ali, e lui si ritrovò a terra.

«Tergerai il tuo copioso sangue, angioletto. E non mi rincresce affatto!»

In un unico movimento, il corpo di Iside si sollevò, liberò la sua spada insanguinata e la inserì tra le scapole diafane, seguendo una linea precisa e obliqua. Con entrambe le mani spinse dentro il corpo del demone, che mormorò qualcosa di incomprensibile. «Che Dio ti benedica, fedifrago Figlio della Luce.»



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Grazie a chi sta seguendo questa avventura.

Un grazie a Flyingpaw che, nonostante dica di essere rimbambita, ha capito tutto da subito, forse più di me :) e grazie ad Anna13, che mi pare abbia letto tutto d'un fiato...

Spero di non farvi attendere troppo per il prossimo capitolo. Ci sarà un nuovo scenario.

mercoledì 15 settembre 2010

L’immaginar la vista tua:
immortali
occhi di cavallo
qualunque.
Sfuggenti pensieri
t’attraversano il capo.
Accarezzo
il tuo manto
al sapor d’arancia,
com’ogni sauro;
sfiorando
con le mie labbra
la tua pelle
delicata
di fedele arabo.
Tu,
dal galoppo veloce,
dalle vene palpitanti
sangue di razza,
susciti in me
sentimento
d’affetto per te
e il genere tuo.

settembre '98


Al mio cavallino che se ne è andato qualche anno fa

martedì 14 settembre 2010

Uccidila

Uccidila, uccidila, uccidila.
Con le tue mani di carezze, con un sorriso rosato.
Manca il sapore troppo duro dell’odio. Manca un pensiero in più, ma un respiro di mare tra i polmoni di uomo si spande nell’aria. Assorbi la sua mente. Uccidila dolcemente.
Lieve, dorato pudore nel limbo di una notte dai graffi luccicanti...
Uccidila tra gli affanni del tuo desiderio...
La stai perdendo...
Nel silenzio dei perché, tra le urla del cuore. Falla tua ancora una volta. Con tutto l’amore che hai, con tutto il candore di quest’abbraccio.
Ce la puoi fare?
Vedi che le sue mani tremano, i suoi occhi piangono di... di??
Amore gocciolante di sapori misteriosi. E invadono la sua pelle, le sue labbra si riempiono di calda ossessione che in te si riflette...
Lame appuntite nei sensuali sguardi di tenere, penetranti, emozioni.
Uccidila, uccidila, uccidila...



2005

venerdì 10 settembre 2010

Dolce il suo respiro
tra il collo e il seno,
che delicato accarezza,
mentre ribolle il sangue
nel cuore:
consumando baci
dorati, scivola dentro,
caldo;
brivido effimero,
eterno ricordo…

aprile 2001

lunedì 6 settembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.6

Capitolo 6

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Oppure vai a

PROLOGO; CAP.1; CAP.2; CAP.3; CAP.4; CAP.5; CAP.6; CAP.7; CAP.8; CAP.9; CAP.10;
PER SAPERNE DI PIù

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Now that I know what I'm without
you can't just leave me.
Breathe into me and make me real
Bring me to life.

Bring me to life - Evanescence

Anno 2010

Il volo più alto che aveva fatto a terra, era stato a dieci anni, da un muretto alto un metro e mezzo, mentre rincorreva un compagno di scuola nel giardino delle elementari, arrampicandosi - a detta della maestra - come un selvaggio. Il mondo si era rivoltato per la frazione di un secondo, le ginocchia avevano iniziato a bruciargli in maniera insopportabile, così come le mani e il gomito che aveva strusciato la parete, spellandolo. Si era fatto male, ma era rimasto a casa due giorni, lo avevano sgridato e poi coccolato e i suoi compagni gli avevano fatto un sacco di domande; era stato divertente.

Cadere dal punto più alto del Colosseo non gli parve altrettanto divertente. Ryker ringraziò di essere perfettamente al centro del muro di travertino. Dal basso non sembrava neppure così largo, come, in effetti, era nella realtà.

Il demone davanti a lui scostò il viso e ciondolò il capo. «Codesto figliolo ha lo faccino di un cherubino.» Disse a Thari. «Ma la sua beltà ha il mio rispettabile, totale, consenso. Oh, perdona il riprovevole ritardo, ranocchietta: il dottore non permetteva alle mie abili mani di far rinascere il suo insulso paziente.»

Ryker, immobile, studiava la donna alata. Era simile a Thari, ma più formosa, poco più bassa, con le vesti lunghe e i capelli, chiarissimi, raccolti sopra la nuca; tuttavia a renderla davvero diversa erano gli occhi: privi di pupilla, iride o sclera, erano del tutto neri e, liquidi, sembravano osservalo come animali in agguato.

Thari, a sua volta, rimase a studiare il ragazzo, i suoi sentimenti e le espressioni del volto. Di nuovo strinse le dita sul polso di lui e avvertì le pulsazioni veloci. «Lei è Iside.» Disse.

L’altra staccò i piedi dal monumento, aprì le ali allontanandosi di circa un metro, nell’aria, davanti al ragazzo. «Hskateltre Mpteri Iside, figlia di Ananke.» Fece un elegante e profondo inchino.

Ryker non nascose la sua confusione; incerto, allungò una mano. «Ryker Mancini, figlio… di Massimo.»

Si diede dell’imbecille, ma Iside mostrò un sorriso sfolgorante, gli afferrò la mano con entrambe le sue e gliela baciò sul dorso chiaro. «Ah, ranocchietta, questo biondo fanciullo lubrifica gli occhi miei.» Lo lasciò e volteggiò nell’aria. «Da quanto lo conosci?» Domandò alla ragazza.

«Da qualche giorno.»

«A dire il vero», intervenne Ryker con una nota di rimprovero, «ci conosciamo da otto anni.»

Thari aggrottò la fronte, voltandosi a guardarlo. «A dire il vero, ti conosco da quando sei nato.» Precisò scontrosa.

Iside sbatté le ali. «Oh, bene, bene, c’è un’astiosa confusione tra voi due. Mi sono impossessata degli stivali che tanto bramavo proprio ieri.»

«Cosa?» Chiese Ryker incredulo a quel repentino cambio di argomento.

«Oh, sì, umano fanciullo, proprio ieri. Dove desiderano andare le tue virili gambe? Io un luogo in tale borbottante orbe lo posseggo.» Gli occhi lucenti di Iside lo fissarono.

«Cosa?» Ripeté Ryker.

Lei guardò Thari. «Le sue corde vocali non esprimevano il dissenso nel rimanere in codesta urbe?»

L’altra scosse il capo. «No, quando sei arrivata mi stava chiedendo cosa volessi da lui.»

«Oh, i miei pensieri hanno viaggiato di puerile fantasia. Bisogna, dunque, ristabilire l’ordine di tale favella.»

Il ragazzo fece un gesto spazientito con la mano. «Non c’è nulla da riordinare: voglio solo sapere come posso liberarmi da chi mi perseguita. E di tutta questa storia.»

«Per mille pargoli! Raffredda il core palpitante e lo spirito bollente.» Lo rimbeccò Iside. «Or dunque, spalanca i padiglioni, e odi quanto ho da dire, misero umano fanciullo: mia sorella, Vanth Kriera Nefthari, demone della rinascita, figlia di Ananke e di un disperso, rinato et strabiliante umano, parlò meco e mi illustrò la raccapricciante situazione.» Poggiò una mano su un fianco e con l’altra lo indicò. «Tu venisti a conoscenza del mondo superiore, a causa della sua inosservanza delle leggi della milizia celeste.» Indicò Thari e poi di nuovo lui. «Tu attirasti l’attenzione dei demoni venuti a conoscenza dell’orrido misfatto e subisti le loro perfide angherie. Sekhmet Nesert in particolar modo, amante della bieca violenza, della vendetta e dell’umana paura, trova in te un degno divertimento. Non temendo l’ira del capo delle da me citate milizie, in quanto nessun demone è, orsù, interessato a riferire il verbo a chi comanda e possiede reazioni imprevedibili, continuerà a infliggere su te la sua efferata goduria.» Iside tamburellò le dita sul capo. «È corretto, ranocchietta?»

Thari esitò un istante e poi annuì.

«Poiché Sekhmet, figlia di Ananke, nell’odierna epoca riporta a vita nuova gli abitanti della Città Eterna e dell’italica penisola, le mie labbra coraggiose consigliano di raggiungere lidi ben lontani, per qualche ellissi di luna.»

«Che cosa vuol dire?» Domandò il ragazzo.

«Vuol dire» gli rispose Thari «che devi lasciare l’Italia per un po’ di tempo, e che dovresti vivere in un luogo isolato: dove non vi sono altri umani, non vi sono altri demoni.»

Ryker emise un suono basso, una risata disarticolata. «Stai scherzando?»

«Giammai.» Tuonò Iside. «Dalla mia elegante bocca non puoi udire uscir menzogne, pargolo umano.»

«Voi… voi non sapete di cosa state parlando. Ho una tesi da dare, mia sorella va a scuola, mio fratello lavora e mio padre…»

«Loro rimarranno qui.» Lo interruppe con dolcezza la ragazza.

«Oh, certo, che sciocco che sono a pensare di poter andare con qualcuno. E poi dove dovrei mai andare?»

Le ali di Iside sbatterono con palese allegria. «Oh, nella mia… nella mia… domus... domus, come si dice, per mille tegole rotte?»

«Casa.» Suggerì Thari.

«Andrai nella mia immensa et sicurissima casa che sorge occultata nell’ambrato deserto del Sahara.» La donna parve felice e dondolò il capo.

Ryker guardò perplesso Thari e di nuovo Iside. Non poteva credere a quanto stesse accadendo, a quello che stava vivendo in quell’ultimo periodo, era davvero troppo; e ciò che Iside gli stava proponendo era così assurdo che quasi gli veniva da ridere. «No. Io non vado da nessuna parte.»

«Soave fanciullo, ardisci replicare?»

«Io non ardisco niente, questa è la mia vita, e la mia famiglia ha bisogno di me, qui.» Le scoccò un’occhiataccia, che non produsse nessun effetto.

«Orbene, allora attenderai che le acque si calmeranno da sé o che il capo delle milizie venga a sapere del fatto e ti strappi un po’ di memoria.» Iside volteggiò, incurante, intorno a loro e infine posò i piedi, stretti in luminosi sandali argentati, sul travertino. Le sue vesti svolazzarono sopra l’anfiteatro, disegnando morbide figure circolari che parevano danzare una musica che il ragazzo non era in grado di udire; tutto ciò che sentiva era il borbottio delle automobili, degli autobus e dei motorini che dal rione Monti, da San Giovanni o dal vicino Circo Massimo si riversavano sotto di loro. E udiva il battito appena un po’ accelerato del proprio cuore. «Posso scendere?»

La donna piegò il viso versò di lui; il sole penetrò i suoi occhi demoniaci che, nel guardarlo, scivolarono come anguille bagnate. Ryker strinse le labbra e spostò lo sguardo su Thari, costringendosi a non spostarlo più, neppure quando l’altra parlò.

«Le tue braccia si apprestano a fare le valige?» Domandò.

Lui scosse la testa. «Torno a casa e, se possibile, vorrei non vedere più nessuno di voi. È possibile?» Domandò con un tono di voce troppo basso.

Questa volta fu la ragazza e distogliere lo sguardo.

«Oh, vi è una tale penuria di delicatezza negli umani.» Commentò Iside, rimanendo immobile quanto il Colosseo. «Ranocchietta, non lasciarti avviluppare dallo scoramento, lascia stare: siffatte creature non posseggono il dono dell’empatia. Ah, se fossi stata il Creatore di tutti noi, io avrei lasciato loro una buona dose di inumana comprensione. Ma per l’appunto…» si accucciò sulle gambe e osservò distrattamente verso la strada. «Il fatto è terribilmente increscioso, biondo infante, tuttavia possiamo lasciarti condurre la tua vita senza di noi, ma nulla possiamo fare per altri demoni che ti perseguiteranno, potrai solo attendere che si dimentichino della tua nuova conoscenza e del loro rapporto con Thari, la qualcosa richiede tempore inimmaginato, poiché a tutto ciò io non posso rispondere. Questo tipo di veggenza non ci appartiene.» La donna farfugliò qualcosa in una lingua che Ryker non conosceva, né avrebbe potuto conoscere.

Quando rimase in silenzio fu Thari ad annuire. Si voltò in maniera tanto brusca che la punta della sua spada grattò sul travertino. «Allora sei certo di non volere il tipo di aiuto che ti offriamo e di non volere più avere a che fare con noi due, al costo di combattere da solo con chi verrà a disturbarti?»

Ryker aprì la bocca e la richiuse. Vista in quel modo, la situazione non era affatto rosea, tuttavia ora che sapeva che dei demoni avevano l’intenzione di giocare con lui e spaventarlo, sapeva di poter resistere. Non desiderava uscire dalla sua camera passando per la finestra, né finire su qualche alto monumento della Capitale; e sicuramente non aveva nessuna intenzione di andare nel Sahara. Tuttavia quando rispose non la guardò. «Sì.»

Thari, invece, lo guardò a lungo prima di parlare con un tono privo di qualsiasi emozione. «Ti porto a casa.»

***

C’era un silenzio insolito, quasi fastidioso.

Ryker iniziava ad odiare la mattina: si svegliava sempre troppo presto, la notte dormiva male e quando scendeva dal letto si sentiva come se avesse un macigno addosso; la tesi, i documenti e la stampa lo stavano facendo impazzire e, come se questo in una perfetta vita normale non fosse già abbastanza, due o tre volte a settimana veniva qualche demone, che lui neppure vedeva, a strattonarlo, frusciare le ali nelle sue orecchie e Dio solo sa cos’altro combinassero.

Lui faceva finta di nulla, come se vi fossero delle mosche fastidiose intorno a lui, dalle quali non voleva essere distratto per nessun motivo. Sperava che si stancassero quanto prima, ma temeva che le cose stessero solo peggiorando perché chiunque fosse a compiere quei dispetti, prendeva la sua indifferenza come una sfida e talvolta era andato a importunarlo in pieno giorno, tra la gente. Se non divento pazzo, saranno gli altri a credere che lo sia. Si ripeteva ogni volta.

Sospirò rigirandosi nelle coperte. Tese le orecchie per capire come mai vi fosse tutto quel silenzio, poi un rumore sordo lo fece sobbalzare. La porta di Lucrezia, dall’altra parte della casa, aveva sbattuto con violenza; poi i passi concitati nel corridoio.

Ryker si mise a sedere nel momento esatto in cui la sorella entrava in camera. Il sorriso infantile che riempiva il volto di lei lo stupì. «Ehi, pigrone di un fratello» gridò eccitata, «nevica!» Lo afferrò per un braccio e lo tirò fuori dal letto. «Vieni. Vieni a vedere. Nevica, ma una cifra!»

Lui, ancora rintronato, la seguì, senza riuscire a mettersi le pantofole. Anche Matteo li seguì e in sala trovarono il padre, già davanti alla finestra.

Massimo Mancini si voltò e sorrise ai figli. «Ce l’ha fatta a nevicare, quest’anno.»

I ragazzi si affacciarono insieme a lui e guardarono fuori. Una neve fitta e bianchissima scendeva dal cielo, copiosa e senza sosta, ricoprendo tutto ciò che poteva: le auto, i motorini, la piccola fontana della piazza, i lampioni, i secchioni. L’asfalto non era più visibile.

Stava nevicando a Roma e Lucrezia e Matteo Mancini non avevano mai visto la neve a Roma. A dire il vero, neppure Ryker aveva visto tutta quella neve nella capitale, ma era attratto oltre che dalla neve, dal leggero riflesso della sua sorridente famiglia sul vetro della finestra.

Quella mattina lo riempì di una gioia soffusa. Lucrezia entrò a scuola alla seconda ora e lui giocò con lei e Matteo per strada come fossero dei bambini, poiché i romani, quando vedono la neve nella propria città, diventano tutti un po’ bambini. Ne era convinto.

Matteo era particolarmente gentile e divertente, lasciava che la neve gli cadesse ovatta sul viso e i capelli biondo cenere, e, quando i fiocchi scendevano più veloci, si lanciava verso i fratelli cercando di farli finire a terra. Lucrezia aveva tirato palle di neve a dei ragazzi che non conosceva, aveva mostrato il suo roseo sorriso tutto il tempo e i suoi profondi occhi azzurri, così simili a quelli della madre, avevano brillato di una luce che Ryker le aveva visto pochissime volte e mai fuori casa.

Il pomeriggio uscì il sole e gran parte della neve si sciolse, sotto il cielo ora limpido di febbraio. Pensava che quella mattinata sarebbe rimasta a lungo nella sua mente, come una perfetta foto della sua amata famiglia.

Andò a cena da Helina quella sera, e risero così tanto che alla fine gli faceva male la pancia. Una fantastica giornata invernale, un bianco venerdì tra famiglia, amici e bellissime risate.

Quando si salutarono sul portone di casa, stavano ancora facendo battute. Infine si decise a raggiungere la macchina parcheggiata su via Salaria. Fu un attimo. Il secco suono di un battito d’ali, il fruscio graffiante nelle orecchie, la terra che si staccava dai piedi, come se fosse il mondo a muoversi senza di lui.

Ryker tentò di urlare, tuttavia il grido si bloccò nella sua gola e si ruppe in un singulto quando, pochi attimi dopo, qualsiasi cosa lo avesse afferrato lo lasciò rotolare nel prato umido di Vill’Ada. Si voltò cercando di recuperare aria; due immense ali si stagliarono davanti a lui, coprendo la luna piena, e due occhi scuri, su un volto che non poteva distinguere, fremettero di un rosso vermiglio.



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Grazie a chi sta seguendo questa avventura.

Un grazie speciale per tutti i loro commenti a SilSaraSun e Manu; a Kendra per il suo entusiasmo e ad Alexia per i consigli sottobanco.

Perdonatemi se vado a rilento, i mille impegni di settembre mi uccideranno... spero per voi solo dopo la fine del racconto :D