giovedì 19 agosto 2010

Rosa Bianca

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Dedicato a una persona che conoscevo. Vi prego, non chiedetemi di più.



Ascoltava la musica; le piaceva ascoltare la musica, perché si ritrovava magicamente in altri mondi, in posti lontani: poteva vivere altre sensazioni, viveva quelle belle e quelle brutte intensamente, perché così non avrebbe mai vissuto se stessa. Mai quelle che erano le sue vere sensazioni. Con la musica poteva ascoltare, semplicemente; mai parlare. E lei non voleva parlare.



Qualcuno aveva accennato al mutismo elettivo, lei si era informata su qualche libro di cosa fosse, ma non era d’accordo: lei parlava con tutti, poco e raramente, ma con tutti. Avrebbe preferito se avessero detto “vita elettiva” poiché lei semplicemente non voleva vivere, se non per vedere i documentari e ascoltare musica che non le apparteneva.



Iniziava a non vivere ogni qualvolta quelle mani la prendevano, dolci e cattive, tra le lenzuola calde della sua stanza rosa, sotto la doccia della sera, sul divano con i fiori che un tempo era tanto bello. Aveva rovinato tutto. La sua prepotenza, quella sua faccia d’angelo che la guardava ormai sorridendo perché lei non aveva più forza di muoversi o piangere da parecchi anni, e lui era contento: poteva fare di lei quello che voleva, tra le sue gambe magre.



Cercava di concentrarsi sul profumo che metteva ogni mattina per sentirsi più pulita, ma lui era troppo pesante e la sua colonia era molto più forte. Avrebbe preferito che puzzasse di alcol. Sentiva molti fatti simili in televisione, non succedeva solo a lei: erano donne, bambine, infanti, a volte anche maschietti, ad avere questo in comune con il suo corpo, ma quello che sentiva succedeva una volta, magari per strada, magari in un posto buio e freddo E si denunciava la persona perché neanche si conosceva. La si odiava. E lei che poteva fare? Lei sapeva di odiarlo.



Sperava che qualcuno nel mondo pregasse Dio affinché lui venisse perdonato, perché lei no, non lo avrebbe mai fatto, non lo avrebbe perdonato e non avrebbe chiesto al Signore di farlo per lei. Giocava con le margherite, sperando che sparisse. Ma lui era sempre lì e quando finiva e la baciava tra i seni appena fatti dicendole «Piccolina, stai diventando perfetta», lei avrebbe voluto ucciderlo. Invece rimaneva inerme con un dolore lancinante tra le gambe, e un dolore indescrivibile e infinito dentro. Non poteva parlarne con nessuno, non ne aveva la forza, si sentiva solo un animale che lui scuoiava vivo. A volte sperava che lui lo facesse davvero, così non avrebbe avuto più niente, non avrebbe avuto più un cuore, non avrebbe avuto più lui dentro di sé. Sarebbe volata via da qualche parte, lontana dalla sua casa calda e asciutta, lontana dalla sua pelle sporca, dai suoi capelli neri e i suoi occhi profondi, dal suo visino che tutti definivano delicato e imbronciato. Voleva solo fuggire via, nei luoghi che descrivevano i documentari; con la sua musica e la sua anima. Voleva solo che suo padre e tutti quelli schifosi come lui morissero all’inferno, perché quelli credono che alcune persone siano solo oggetti, credono di essere potenti e bravi, credono che entrare nel corpo di una altro sia una cosa lecita, a loro permessa perché sono forti, perché credono che coloro di cui abusano non siano niente. E forse è così, perché ormai lei non era niente: lui l’aveva trasformata in ciò che voleva, e forse sarebbe stata lei a finire all’inferno.




2 commenti:

  1. Toccante, molto... Il fatto di per se indiscutibilmente, ma il tuo scrivere ha reso enormemente vive le sensazioni.

    Vale e stop per oggi

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  2. Queste parole sono state scritte diverso tempo fa, ma quando le rileggo le sento ancora mie...

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