mercoledì 25 gennaio 2012

Le figlie di Ananke. Black Light - EPILOGO


Epilogo

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‘Cause I am your lady
And you are my man
Wherever you reach for me
I'll do all that I can






Anno 2011
Il dottor Filippo Martini scrisse un appunto sul suo quaderno prima di sollevare lo sguardo sulla sua paziente in attesa. Batté la penna due volte sulla scrivania in legno massello e si decise a guardarla.
Lei invece distolse lo sguardo fissandosi le mani. Era stata la sua paziente più difficile da quando aveva iniziato a lavorare e lo era stata per tutto il team che l’aveva seguita e continuava a seguirla. Timida, impaurita dal mondo e spesso impacciata, ora stava finalmente sbocciando. Lentamente.
Tuttavia non era quella la sua particolarità: era la sua famiglia e la sua memoria, o meglio, la sua completa mancanza di memoria. E in questo, non era progredita.
L’incidente automobilistico da cui era scampata sembrava non averle spezzato un capello, eppure ne era uscita con un deficit inimmaginabile: una ragazza perde ogni ricordo di ventuno anni di vita. All’inizio era stato un vantaggio, perché la sua famiglia era morta nel rogo e di loro non era rimasto nulla, lei non li ricordava e non aveva sofferto, poi però il dolore era arrivato. Il dolore di non sapere chi si è stati per ventuno anni, e il fatto che fosse straniera non era certo d’aiuto: la casa in cui viveva era nuova, non c’erano ricordi, solo qualche mobile, degli scatoloni con dei vestiti e dei quadri ancora imballati.
Il resto della sua vita era stato identificato da una carta d’identità -che riportava luogo di nascita straniero e cittadinanza italiana- e un diario segreto, nel quale lei non si ritrovava.
Il dottor Martini trattenne un sospiro e si alzò. «Vieni, ti accompagno alla porta», le disse aggirando la scrivania. Di solito la visitava in ospedale, perché lei non poteva permettersi delle spese, lui però, aveva trovato il suo caso tanto interessante da non preoccuparsi di riceverla in studio; e ormai l’aveva a cuore.
«Hai già segnato il prossimo appuntamento?»
«Sì, dottore.»
Lui aprì la porta. «Bene, allora non ti preoccupare. Come ti ho già detto non c’è nulla da temere.» Ed era vero, perché, se nulla migliorava, nulla neppure peggiorava. Il suo era un semplice mistero; irrisolvibile. «E se serve, non esitare a chiamarmi.» Le sorrise e le diede un buffetto sulla guancia come faceva con la figlia la mattina quando l’accompagnava a scuola. «È una bella giornata, fatti una passeggiata. E fai un buon pranzo.»
La ragazza obbedì. Si incamminò per i vicoli assolati della città mangiando un pezzo di pizza, con passo lento; lavorava in uno studio medico dove la donna che da anni faceva la segretaria era in maternità, ma quel giorno aveva preso permesso e poteva camminare tranquilla per un bel po’, prima di tornare a casa.
Nel suo diario c’era scritto che amava fare fotografie, ma non aveva macchinette fotografiche, così a volte rimaneva a guardare dei punti immaginando di poterli ritrarre; forse avrebbe dovuto disegnare, se lo ripeteva da un po’ ed era certa che avrebbe iniziato a farlo molto presto.
Sul suo diario aveva anche scritto che partiva per una meta lontana, che non sarebbe tornata indietro, ma che lei e la sua famiglia ne erano felici. In un appunto laterale aveva scritto che sua madre le aveva salvato la vita. Aveva fissato quella frase a lungo, un sacco di volte, eppure nulla le era tornato alla mente; chissà a cosa si riferiva.
Erano troppe le cose che voleva sapere e che non avrebbe mai saputo; ormai ne era certa.
Beh, pazienza, devo pensare al futuro, si disse, come faceva sempre. Camminò per un po’, poi arrivò nella piccola piazza Mattei e si sedette sul bordo di un grosso vaso tondo, ad osservare la Fontana delle Tartarughe.
«Ehi», gridò qualcuno, «ehi, vieni qui!»
La ragazza si girò in tempo per vedere un grosso cane dal pelo color sabbia venire verso di lei; la bestia abbaiò e poi ringhiò. Lei aggrottò la fronte, impaurita, però si piegò un poco in avanti e disse: «Ciao, cagnolone.»
«Mars! Vieni subito qui», un ragazzo spuntò da un vicolo.
Lei non perse d’occhio il cane, che aveva smesso di abbaiare. «Ciao, Mars», lo salutò con dolcezza, ma senza toccarlo.
Il ragazzo li raggiunse. «Scusami, di solito lo porta a spasso mia sorella, ma è in vacanza con le amiche, così l'ho portato a lavoro e ora non vedeva l'ora di uscire, mi è sfuggito.  Ti ha toccato? Ti sei spaventata?»
Lei scosse il capo e sollevò il viso. «No, si è solo fermato a guardarmi.» Il suo sguardo incontrò gli occhi azzurri di lui e per alcuni secondi rimase a fissarlo. «Io… ti conosco», disse incerta.
Lui piegò appena un po’ il capo, scrutando gli scurissimi occhi di lei, la pelle come il cioccolato, i capelli neri sciolti sulle spalle, il naso piccolo. «Sì, ti ho vista da qualche parte», rispose infine, piegandosi ad accarezzare il proprio cane, senza riuscire a smettere di guardare la giovane.
Lei sorrise, un sorriso dolcissimo. «Ho capito: ti ho visto dal dottor Martini, qualche volta.»
«Oh, è vero, ora mi ricordo di te. Sei spesso da lui»
Lei annuì. «Sì, il dottore è molto interessato alla mia perdita di memoria.» Fece una smorfia gentile.
«Anche alla mia», replicò lui sedendosi accanto a lei. «Ho dei vuoti di memoria su un periodo di prigionia di cui non ricordo nulla e vari buchi sparsi del periodo precedente, ma a quanto pare il mio cervello sta benissimo.»
Lei osservò le sue labbra alcuni istanti, non era certa di voler parlare dei suoi problemi, ma lui sembrava un tipo cordiale. Sul proprio diario aveva scritto di non fidarsi di nessuno, ma di seguire il cuore.
Sorrise a quel pensiero da ragazzina e tornò a concentrarsi su di lui. «Abiti qui?»
«Sì, qui vicino.»
«Anche io», replicò con voce cristallina. «Beh, possiamo andarci a bere qualcosa, ogni tanto, così ti racconto la mia assurda storia.»
Lui fece una risata bassa e calda. «Più strana della mia?»
«A giudicare da ciò che mi ha detto l'equipe dei medici che si è presa cura di me, temo di sì.»
Mars scodinzolò, annusandole una scarpa. Il ragazzo le porse la mano. «Allora per me va bene. Io sono Ryker Mancini.»
Lei abbassò il viso a guardare la mano chiara di lui, prima di offrirgli la propria. «Io sono Nefthari Kriera.»

***
«Ciao, Iside; che c’è?»
«Si sono ricongiunti. No, che blatero, si sono parlati, le loro bocche si sono…»
«Doveva succedere prima o poi.»
«Orbene, mi sono quasi emozionata.»
«Iside, non puoi stare nel livello umano, e non puoi emozionarti per queste cose; o cacceranno via anche te. Anzi, lo hanno già fatto. E io non ti aiuterò a uscirne.»
«Ne sono a conoscenza, madre. Gioisco della salvezza che hai concesso alla mia amata sorella.»
Ananke le rivolse un’occhiata indecifrabile. «Vanth ha scelto da sola la sua strada, ha scelto da sola di dare la sua vita al posto della ragazzina; il fatto che questo, per una figlia di  un umano, significhi poter scegliere tra rinascere o abbandonare questa dimensione per diventare un’umana, beh, non l’ho deciso io.»
«No, ma tu lo rimembrasti a tutti. Non lo avresti fatto con noi altre.»
La donna sorrise. «Sì, è vero, ma voi altre non siete figlie di umani.»
«Non siamo prole dell’amore», la corresse il demone.
«Oh, Iside, per favore, sparisci. Non mi piace avere nulla a che fare con le mie figlie. Su, vai, io e te non abbiamo nulla da dirci.»
«Perdinci Bacco, madre! Me ne vado, me ne vado. La mia mirabile presenza non è ben voluta, e io andrò a piangere in qualche altro loco per le scarpe umane che mi son negate.»


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Ringraziamenti


Un grazie di cuore a tutti i lettori che hanno seguito la storia sul mio blog e perdonatemi se per la fine avete dovuto attendere così tanto. Spero ne sia valsa la pena.
Grazie quindi a chi mi ha linkata e rilinkata, commentata e messo "mi piace". In particolare grazie a Claudio Cordella, Faith, Flyingpaw, Manu, Nasreen, Sam e SaraSunbeamBlack.
Grazie a Luca Tarenzi, che mi ha corretta per quanto possibile, lo apprezzo davvero.

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.13


Capitolo 13

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I find the love
that I know that I miss.
I lost my love, my life,
that night.







L’alta tecnologia dei demoni e di tutte le creature superiori invadeva la sala rossa del giudizio. Un’architettura dell’antico Oriente rendeva all’occhio umano un complesso insieme di arte e comodità. Passato e futuro. Ma in quel momento nella sala era presente un unico umano ed era, fra l’altro, semicosciente.
Thari si morse l’interno della guancia nel guardarlo ancora una volta, chiuso in una gabbia invisibile, lo sguardo perso. Ryker aveva passato gli ultimi giorni in uno stato catatonico e non solo per i poteri derivati dai demoni: era come se lui stesso non accettasse nulla di tutto ciò.
Tuttavia l’unica ad esserne preoccupata era Thari.
Gli altri presenti si erano appena tranquillizzati perché si era sparsa la voce che il Principe delle Milizie Superiori fosse di buon umore e ben disposto nei confronti di tutti; non che di solito non lo fosse, però ogni demone sapeva che odiava scendere in quel livello e faceva rispettare le sue leggi con una severità indifferente.
Un demone, in forma di bambino umano dai capelli rossi, annunciò l’entrata del capo delle milizie e, per alcuni istanti, Thari pensò di gridare. Invece rimase in silenzio, osservando la luce che entrava da dietro le pesanti tende bordeaux.
Una luce acquosa, chiara, in grado di muoversi nell’aria, nello spazio, nel tempo come una bolla di sapone che brilla di luce propria. La cosa più bella che ognuno di loro avesse mai visto; e anche la più temibile: nella sua bellezza, quell’essenza incuteva un timore atavico.
«Messaggeri delle milizie, Ananke, figlie di Ananke e Figli della Luce, benvenuti», salutò.
Le sue parole si diffusero nell’etere senza voce, una semplice, dolce vibrazione che raggiungeva le menti di chi gli era davanti. Un pubblico che si chinò di fronte a lui per alcuni attimi.
Ryker rimase immobile, gli occhi sgranati, la sensazione di avere qualche essere dentro di lui: sebbene potesse vedere e udire, percepiva quell’essere, qualsiasi cosa fosse, come se risiedesse dentro di lui. Fece un passo indietro, quando si sentì guardato da quella creatura inumana, nonostante quella non avesse un paio d’occhi in alcun punto.
Scontrò la schiena contro la sua gabbia invisibile e rimase a fissare il Principe delle Milizie, che ora parlava con voce soave, lenta, quasi una carezza. Benché la testa gli dolesse, tentava di ascoltare con attenzione.
Anche Thari ascoltava e non perse una parola né del discorso del capo, né del resoconto dei Messaggeri. La vita di lei, da quando era nato Ryker, venne raccontata con un’infinità di dettagli, narrando di lei, della famiglia Mancini, di Iside, di Sekhmet, di ogni mortale e immortale che aveva avuto un ruolo in quella storia.
Oltre alla voce cadenzata dei Messaggeri, vi era il silenzio assoluto e il respiro di Ryker.
«In questo processo», concluse uno dei Messaggeri, «si ritengono colpevoli Vanth Kriera Nefthari, Hskateltre Mpteri Iside, Sekhmet Neseret  e altre due Figlie di Ananke, già rinate, e un Figlio della Luce, già rinato anche lui. I Messaggeri delle Milizie lasciano la parola al giudizio del Principe delle Milizie.»
Sull’essenza acquosa passarono vari colori, prima che si muovesse con un movimento fluido verso Sekhmet, che si inginocchiò. «Figlia di Ananke, sei accusata di aver rischiato la rinascita non programmata di Ryker Mancini, qui presente. Come ti dichiari?»
Il demone abbassò il capo, chinandosi in avanti, e i suoi lunghi capelli sfiorarono il pavimento. «Non colpevole, Principe», rispose senza esitazione.
Thari aggrottò le sopracciglia guardandola; era in piedi a qualche metro da lei. Tra di loro si trovava Iside, che ora si chinava come aveva fatto la loro sorella di fronte alla luce splendente. «Figlia di Ananke, sei accusata di aver fatto rinascere un Figlio della Luce in una battaglia non autorizzata. Come ti dichiari?»
«Non colpevole, Principe», replicò anche lei senza tentennamenti.
Il capo delle milizie si avvicinò a Thari, senza commentare, nessuno poteva conoscere i suoi pensieri e i suoi voleri. La ragazza fissò quella luce bella e inquietante per alcuni istanti, quasi volesse comprenderne l’essenza; come lei, tutti la ignoravano, e mai l’avrebbe conosciuta nelle sue profondità, neppure ora che la sua vita da demone della rinascita stava per finire.
Si genuflesse e piegò il capo attendendo la domanda. «Figlia di Ananke, sei accusata di aver fatto rinascere due tue sorelle. Come ti dichiari?»
«Colpevole, Principe.»
Vide l’occhiata di dissenso che le aveva lanciato Iside e chiuse gli occhi.
La luce non si mosse: come tutti già si aspettavano, rimase davanti alla ragazza. «Sei accusata di aver mostrato il mondo superiore a un umano. Come ti dichiari?»
«Colpevole, Principe.»
L’ombra vibrò appena. «Figlia di Ananke, sei a conoscenze delle conseguenze di questo atto?»
«Sì, Principe.»
«Sai che perderai il tuo compito di Demone della Rinascita, alla fine del tuo ultimo compito e che il tuo corpo subirà delle modifiche? Sai che non potrai più varcare la dimensione degli uomini?»
Lei si morse un labbro. «Lo so, Principe», mormorò.
«Figlia di Ananke, Vanth Kriera Nefthari, sei accusata di esserti innamorata di un umano, di averlo indotto a ricambiare il tuo sentimento, di avere avuto rapporti sessuali con lui e di aver quindi violato una delle leggi più importanti delle relazioni tra uomini e demoni. Come ti dichiari
«Non mi ha indotto», biascicò Ryker schiacciato sul muro della gabbia che esisteva solo per lui.
Il capo delle milizie non badò a lui; nel corso di tutto il processo lo aveva guardato solo una volta e riteneva che le sue parole non fossero  importanti. La protesta, qualsiasi essa fosse, non giungeva alla luce densa, ferma nella sala, come se non avesse proferito parola.
Thari, però, aprì le palpebre e sollevò il capo. Lui aveva gli occhi cerchiati, in respiro appena ansimante, le mani premute su qualcosa che solo lui sentiva. I loro sguardi si incontrarono e lei si sentì stringere lo stomaco. Tornò ad abbassare la testa.
La colpa. L’amore.  «Colpevole. Principe.»
Senza una parola, la luce divenne azzurrina e poi rosata, mentre raggiungeva il posto di partenza. Per molto tempo, cadde un silenzio rotto solo dall’ansimare del ragazzo.
Poi il demone bambino si avvicinò alle tre donne demone e si librò nell’aria raggiungendo l’altezza dei loro visi.
«Hskateltre Mpteri Iside, Sekhmet Neseret, siete ritenute colpevoli e per questo non potrete portare a termine i vostri compiti per cento cicli solari, né potrete entrare nel mondo degli umani per un intero ciclo solare», disse con la sua voce da bambino che risuonò delicata in tutta la sala.
Iside e Sekhmet non si guardarono, nell’estrarre le proprie armi e consegnarle al piccolo demone. Il bambino prese le spade bianche e le fece dissolvere nelle sue manine chiare e morbide; quindi si mosse verso Thari, mentre le due donne si allontanavano dal punto in cui erano state fino ad allora.
«Vanth Kriera Nefthari, sei colpevole di aver infranto una delle leggi universali delle relazioni tra uomini e demoni, di aver mostrato il mondo superiore a un umano, di aver fatto rinascere due tue sorelle, Figlie di Ananke, e per questo motivo dovrai lasciare per sempre il ruolo di demone della rinascita, il corpo che ora ti appartiene e non potrai più accedere al mondo degli umani; questo da quando l’ultimo umano a te affidato sarà stato fatto rinascere, e quindi tra undici cicli solari.»
Thari annuì fissando gli occhi smeraldini del bambino, poi inspirò, proprio mentre il demone stava per tornare sui suoi passi. «Aspetta», sussurrò. Sollevò gli occhi sulla luce ora bianca, bianchissima. «Principe… Principe delle Milizie, io ho…», la voce le tremò. «Io ho una richiesta da farvi.»
Tutti gli occhi si voltarono verso di lei, occhi profondi, dai diversi colori, tutti inumani. La luce acquosa sembrò deformarsi un poco, prima di spostarsi nella sala e raggiungerla; le girò attorno e lei si costrinse a rimanere con la testa alta.
«Ebbene, quale richiesta?»
La ragazza strinse i pugni un paio di volte, manifestando il suo umano nervosismo. Si voltò a guardare Iside, in piedi accanto a Ryker e senza la sua spada. L’amica piegò il capo da un lato e le fece un sorriso che non raggiunse gli occhi liquidi.
Thari lanciò un’occhiata al ragazzo, che con la fronte aggrottata e i capelli scompigliati seguiva la scena senza batter ciglio, come se nonostante lo stordimento, cercasse di rimanere vigile. «Principe, mi è stato ricordato che, quando un demone della rinascita non vuole far rinascere un umano, può rifiutarsi di farlo.»
La luce si fermò. Thari vide sua madre, Ananke, annuire e incrociare il suo sguardo. Ryker emise un mugolio, pensando che finalmente quell’essere era sorpreso da qualcosa.  
«È vero. E ti hanno anche ricordato, demone della rinascita, le conseguenze di tale gesto?»
«Sì, mio principe», rispose Thari con voce più sicura. «Ne conosco le conseguenze e sono pronta ad accettarle a favore della vita umana e attuale di Lucrezia Mancini, sorella di Ryker Mancini, qui presente. Affinché non rinasca se non per cause naturali.»
Thari sapeva che la stavano fissando, ed era anche abbastanza certa che il principe stesse facendo altrettanto.
Ryker grugnì appena e allungò una mano per toccare un’ala di Iside,  benché la gabbia lo bloccasse. «Che succede? », le domandò, «che vuol dire? Cosa faranno a mia sorella?»
Iside gli lanciò un’occhiata incomprensibile.
Il bambino demone svolazzò nell’aria con il suo volo innocente e i messaggeri delle Milizie lo seguirono, passando in due file accanto a Thari, che senza una parola li seguì.
Poi la ragazza ci ripensò, creando un certo mormorio nella stanza. Raggiunse Ryker. Solo lui era bloccato da quel muro invisibile, sicché lei allungò una mano, per prendere quella di lui.
«Tua sorella vivrà», sussurrò, pur sapendo che tutti, lì dentro, potevano sentire.
Ryker si rilassò e le sorrise, stringendole la mano a sua volta. «Hai visto, alla fine è stato facile; mi dispiace se non potrai più… »
Thari gli poggiò un dito sulle labbra. Gli occhi azzurri, la pelle chiara, la purezza dei suoi sentimenti, l’imperfezione dell’essere un semplice umano. «Torna a casa, Ryker, prenditi cura della tua famiglia, come hai sempre fatto.»
Lui sbatté le palpebre; un senso di vuoto gli attraversò le viscere. Il tuo amore mi ucciderà. «E tu cosa farai?»
Thari gli accarezzò il viso con la punta di un’ala, notando con la coda dell’occhio il bambino demone fluttuare verso di lei con i suoi folti capelli cremisi. «Non importa: non ricorderai niente di tutto questo.»
Ora che ti ho trovato, ora che mi hai trovata.
Ti perdo.
Lo lasciò e seguì il demone; non si voltò mai.
Di nuovo Ryker si schiacciò sulla gabbia, per seguirla con lo sguardo, perché all’improvviso gli parve tutto privo di logica. Non voleva dimenticare, anche se lo aveva detto. Voleva ricordarsi tutto, ricordarsi di lei, di loro due. Una sottile rabbia impotente gli fece stringere i pugni.
«Iside, fai qualcosa!»
Lei lo fulminò, tuttavia lui non demorse.
«Non posso dimenticare tutto questo»
«Invece lo farai», quasi ringhiò mentre alcuni Figli della Luce lasciavano la stanza in fila indiana.
«Oh, ti prego», quasi piagnucolò. «Allora, ti prego, promettimi, Iside, per favore, prometti che, per tutta l’eternità che dovete vivere, le ricorderai quanto la amo. Io non gliel’ho detto, io…»
Lei fece un gesto con la mano. «Sei libero», disse solo e fece per allontanarsi. Ryker afferrò Iside per un braccio e la strattonò.
Ma dovette lasciarla: il demone lo guardò con quei due occhi che sembravano due anguille e sulle palpebre si affollavano lacrime umane. Lacrime di dolore. Lacrime che lui non comprendeva. «Che c’è? Sai qualcosa che io non so?»
«Non dovrei dirtelo, ma sono già stata condannata e le tue membra non ricorderanno, idiota di un infante.» Le lacrime uscirono oltre i bordi delle ciglia.
I demoni potevano piangere.
Qualcosa nel cuore di Ryker si spezzò. «Cosa? Iside, cosa?»
«Non hai compreso, stupido umano? Thari ha donato la sua vita per quella di tua sorella.»
Ryker indietreggiò, quasi lo avessero colpito nello stomaco; mille domande gli affollarono la mente, tumultuose. Perché? Perché? Perché?
Tentò di respirare e recuperare un battito normale, il cuore gli pulsava nelle viscere; cercò di tornare vicino ad Iside, pronto a riempirla di quesiti ai quali doveva rispondere. Non avrebbe accettato scuse.
Ma la luce acquosa, fluida e intensa, brillò, si espanse in tutta la sala e Ryker dovette coprirsi gli occhi.


martedì 24 gennaio 2012

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.12


Capitolo 12

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I know you’ll be a star

in somebody else’s sky,
but why,
why, why,
 Can’t it be, can’t it be mine?





Il silenzio era un tormento inaudito. E durava da troppo tempo.
Lei aveva voglia di vivere, vivere come un’umana, sentire l’umanità della sua pelle, del suo sangue. I battiti di un cuore vermiglio, in un corpo nero come la notte; e invece tutto sarebbe finito.
Ora che ti ho trovato, ora che mi hai trovata.
Thari sospirò.
Era relegata nella dimensione dei demoni, in attesa, a meditare sulle leggi infrante. Troppe.
Poi lo scalpitio di piccoli piedi dentro scarpe morbide riecheggiò nella sua camera. Finalmente un rumore. Una donna entrò attraversando il grande arco che dava verso ovest, la luce rosata del sole brillò sui capelli corvini.
«Madre…», mormorò Thari con un piccolo, impacciato inchino.
L’altra piegò il capo in un breve segno di saluto. «Ciao, Vanth». Aveva una voce dolcissima, calda, che usciva dalle labbra rosate con piccole note tondeggianti, quasi si potessero toccare. «È tanto tempo che non ci vediamo. Mi dispiace.» Fece un passo verso di lei, ma Thari si allontanò, spostandosi; nell’aria pulviscoli dorati danzarono allegri.
Abbassò appena gli occhi.
«Non sono quella che gli umani definiscono una madre presente, vero?»
Thari fissò lo sguardo sulle tende color pesca. «Non sei neppure umana, se è  per questo, madre.»
«No, non lo sono. Ma conosco l’umanità da un tempo molto lungo, conosco anche le loro critiche.» Sorrise mostrando un’espressione deliziosa. «E conosco le loro emozioni, la loro forza, il loro potere su di noi. Loro…»
«Lo sapevi?», la interruppe sua figlia, brusca.
Ananke la guardò incerta. La pelle liscissima, color noce, sembrava brillare d’oro.
«Sapevi che sarebbe successo, che avrei fatto questa fine, che prima o poi avrei fallito.»
L’altra scosse il capo. «No. Non potevo saperlo; nemmeno tu potevi saperlo, Vanth. Nessuno ha questo potere e quello che sei, quello che sei oggi, tutte le tue azioni, non nascono dal tuo sangue.» Aprì una mano e con grazia indicò intorno a sé. «Si ostineranno sempre a sostenere il contrario, tuttavia non è così. Siamo demoni: siamo umani anche noi, in parte; e tu, tesoro, non hai fallito. Hai fatto le tue scelte e le hai fatte con il cuore.»
Thari piegò il capo e lo scosse forte. «No, non è così. Io…» Strinse i pugni. «Io ho le ali, ho la pelle nera, vivo la dimensione dei demoni; io provo piacere nel far rinascere gli umani. Ma il mio sangue è rosso.»
«Non fare quest’errore, figlia mia, non fare l’errore che fanno tutti: non guardare solo fuori. È dentro che devi scoprire chi sei e cosa desideri; non ti dirò che sia facile, ma prova a farlo.»
La ragazza scosse ancora la testa, con meno forza. «È tutto così complicato, lo è sempre stato. Desidero solo una vita semplice: rispondere alle esigenze del mio corpo e a quelle del mio cuore, ma farlo mi ha portato a perdere tutto.»
Sua madre sollevò leggera una mano e le accarezzò una guancia. «Lo so; per me la vita è stata assai più facile, eppure ho dovuto fare le mie scelte e, nelle nostre lunghissime vite, di scelte bisogna farne molte.» Gli occhi cangianti di Ananke la scrutarono, passando dal nero al viola e infine all’azzurro. «Tuo padre», continuò facendo un passo indietro e guardando le tende anche lei, «è stato  uno dei pochi che ho amato: non sarei stata con uno sciocco, effimero umano, se non lo avessi amato. So che questo ha portato alla tua sofferenza, più della mia e mi dispiace dire che non rimpiango ciò che abbiamo vissuto.» Per un attimo lo sguardo si perse lontano nel tempo, poi tornò a posarsi sulla figlia. «Le leggi oggi sono altre, forse più giuste, io non ho il diritto di sindacarle. Desideravo solo dirti che sei frutto dell’amore. E che per quanto ristrette, hai la possibilità di fare delle scelte anche tu; cosa desideri di più di tutto in questo momento?»
«Salvare Ryker.»
«Non gli accadrà nulla: quando il capo delle milizie parlerà con voi, lui perderà la memoria di questi ultimi eventi e tornerà alla sua vita.»
Con uno scatto Thari si allontanò di nuovo. «Non è questo il punto: si tratta di Lucrezia; se la farò rinascere, lui impazzirà. È così difficile da capire?»
«No, non lo è. Ma a te importa così tanto se lui impazzirà o meno? Non ricorderà nulla di tutto ciò.»
In risposta, Thari le rivolse un’occhiataccia che non avrebbe potuto permettersi, trattandosi di Ananke, ma la donna non si scompose né glielo fece notare. Sospirò. «Hai due giorni per riflettere su ciò che più desideri.»
«So già cosa desidero. Ma nulla dipende da me», replicò la ragazza con meno foga.
«Sì, è piuttosto evidente; tuttavia, come dicevo, non è vero che nulla dipende da te.» Sua madre fece un passo indietro; gli occhi si tinsero di un tenue verde acqua. «Rifletti a fondo, Vanth, perché esiste un modo e quel modo dipende solo da te. Se seguirai alcune strade, forse io potrò aiutarti; ma quelle strade le devi prendere da sola»

***
Thari rimase immobile, così come solo un demone poteva fare. Poi, delle mani nere e amiche la toccarono sulla spalla, prima di darle un buffetto rapido su una gota tesa.
«Ah, dolce mesto sguardo, tenera infante. Mi hai chiamata?» Iside aprì le braccia, senza attendere risposta.
E Thari non rispose se non gettandosi in quell’abbraccio. Si tennero strette, ma non troppo a lungo perché il tempo a loro disposizione era pochissimo. «Perderò tutto», mormorò la ragazza sulla spalla dell’amica. «Perderò le mie qualità di demone e con essa una parte di me, sarò relegata a un mondo in cui non potrò avere contatti con gli umani, in cui non potrò seguire le loro vite. E perderò Ryker perché dovrò far rinascere sua sorella.» Soffocò un singhiozzo e si allontano da Iside. «Avrei desiderato avere più tempo, avrei desiderato fargli capire chi ero davvero, chi siamo noi figlie di Ananke: avrei voluto fargli capire che a volte siamo anche degli angeli custodi.»
Iside dondolò la testa.
«Beh, è così che li chiamano gli umani, ma era complicato; è sempre stato complicato con loro, le nostre logiche sono… oh, Iside», mormorò. «Ho sbagliato tutto, così come tutti mi facevano sempre presente; alla fine hanno avuto ragione loro.»
«Lo pensi davvero?»
Thari si strinse nelle spalle, lisciandosi la stoffa del suo gonnellino. «Ananke dice che non dipende dalla mia natura.»
«Ananke non permette alle menzogne di invadere le sue labbra».
Thari annuì e prima di continuare si asciugò le lacrime dal viso, quindi alzò il capo con più decisione. «Nostra madre mi ha detto di riflettere perché esiste un modo, credo alludesse a Lucrezia, tuttavia io… non lo conosco. Come posso farla rimanere sulla terra ancora a lungo?»
L’altra sbatté le palpebre.
«Mi ha detto di riflettere a fondo, che dipende solo da me, da ciò che desidero. I giorni sono passati e io non ho compreso. Lei non ha voluto dirmi nulla, nessuno ha voluto dirmi nulla; so che c’è qualcosa che non mi è stato detto, forse perché sono Mezzosangue?»
Di nuovo l’amica sbatté le palpebre.
«Iside!», la voce di Thari uscì con un lamento strozzato. «Tu lo sai? Iside, ti prego, se lo sai dimmelo. Qual è questo modo, perché nessuno vuole dirmelo?»
Il demone deglutì e si voltò.
«Sono pronta a tutto e tu sei mia amica, l’unica che io abbia, perché ci metti tanto a dirmelo? Rimangono pochi minuti.»
E proprio allora uno dei messaggeri del capo delle milizie la chiamò.
Iside gli lanciò un’occhiata, quindi afferrò un polso a Thari. «Non vorrei proferir parola proprio perché siamo strabilianti amiche, perché siamo sorelle, ranocchietta, tu incarni la sorella migliore che si possa possedere e noi ne possediamo fin troppe.» La guardò in quegli occhi così umani, così diversi dai suoi. «Ti perderò in ogni caso, le mie membra brameranno infinito odio e terribile vendetta, quando non sarai più meco. E se ora dalle mie labbra uscisse la verità, codesta vendetta sarà ancora peggiore.»
«Per favore…», supplicò Thari, senza capire.
Il messaggero si schiarì la voce, ma Iside non smise di parlare.
«Te lo dirò», sussurrò, «perché possiedi il diritto di scegliere; solo per questo.»



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A volte resuscito....

martedì 18 ottobre 2011

Vorresti afferrare i giorni con le dita
per non lasciarli scivolare via,
inutili,
lamentosi,
identici.
Vorresti tracciare il confine della vita
su un tessuto immacolato;
e l'unico inchiostro che ti rimane è il sangue.
Scorri il dito sugli elenchi,
scorri gli occhi sulla carta riciclata:
lettere insignificanti che si susseguono,
il resto è un cumulo di vetri rotti
su cui ti rifletti.
Ti fermi, chiudi le palpebre;
il ticchettio del tempo,
l'umidità del sale.
Non dovresti essere qui.

ottobre '11


venerdì 26 novembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.11

Capitolo 11

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PROLOGO; CAP.1; CAP.2; CAP.3; CAP.4; CAP.5; CAP.6; CAP.7 ; CAP.8; CAP.9; CAP.10; PER SAPERNE DI PIù

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Le ciglia sbatterono appena. Lunghe, curve, nere. Nere su nero. Sugli occhi che tanto lo avevano spaventato. Ryker prese il viso di Thari tra le mani e le sfiorò le labbra continuando a guardarla.

La morte, le tenebre, due pozzi senza fine.

Conosceva quegli occhi da quando era bambino, ne conosceva la paura che suscitavano in lui. Tuttavia, allora non conosceva la dolcezza e l’umanità di quello sguardo che credeva solo di sognare nei momenti più tristi.

Non c’era tristezza, però; c’erano due occhi che poteva amare. E non importava cosa sarebbe successo, era troppo irreale troppo lontano. Non desiderava neppure pensarci, anche se avrebbe dovuto, avrebbe dovuto fare un sacco di cose; eppure era là, con lei, un mezzogiorno infuocato oltre il terrazzo, sul deserto silenzioso.

Thari si mosse appena e lo strinse.

Lui sorrise, ricambiandola. «Sai cos’è la cosa più strana, tesoro? Le tue ali.»

«Le ali?»

Ryker annuì. «Sì. Ti stupisce?»

Lei si strinse nelle spalle. «Pensavo che fosse il colore della pelle. O gli occhi. O i capelli bianchi.»

«No. Sono le ali, perché il resto è umano, molto umano, e se non lo fosse, lo è diventato insieme a te. Ma le ali… Thari, sono scomodissime!»

La ragazza ridacchiò. «Signor Mancini, come può dire una tale eresia? Le ali sono la parte del corpo più comoda e utile al mondo.»

«Più del cuore e il cervello?»

«A parte quelli.»

Ryker la costrinse a guardarlo piegandole il viso. «Non pensi che siano le uniche cose utili, o più utili, quando fai l’amore con me.»

Lei rise di nuovo con il suono cristallino che sgorgava dalla sua bocca. «Va bene, come vuoi; ma le ali sono utili e sono comodissime. Non sai quante cose non potrei fare, senza.»

«Per esempio?» Chiese lui corrugando la fronte.

Gli lanciò un’occhiata, fingendo impazienza. «Volare?»

«Non sono un sacco di cose.» Commentò Ryker di rimando.

«Sì, invece», protestò «è che tu…»

«Non puoi capire.» Concluse per lei.

Thari scosse il capo. «Non vuoi capire: non è possibile sindacare sull’utilità del volo, delle ali, dell’equilibrio. È così ovvio.»

Il ragazzo le tirò una ciocca. «Penso proprio che tu sia terribilmente donna, Nefthari, e quindi vuoi sempre avere l’ultima parola.»

Lei non replicò per qualche minuto, lasciando pensare a Ryker di averla offesa, anche se lui non ne vedeva il motivo. «Sai» disse infine, «nessuno mi chiama Nefthari.»

«Peccato. È un bel nome, per una come te.»

«Come lo conosci? Il nome intero, intendo.»

Lui ci dovette pensare alcuni istanti. «Lo ha detto Iside, quando l’ho conosciuta, sul Colosseo. Oh, cielo, sul Colosseo! Mai avrei pensato di poter dire sul Colosseo, al posto di accanto, davanti, dentro; è tutta colpa tua.»

Lei lo guardò con un’intensità tale che lui ne fu quasi imbarazzato. «Lo so. Non avrei mai dovuto farti tutto questo, se io fossi stata attenta alle mie stupide emozioni, ti avrei evitato tante sofferenze.»

Lui fece per ribattere e dire che non era più certo di quella realtà, ma lei, con una forza che lui in quel momento non si aspettava, lo spinse da una parte con una sola mano.

Ryker sbatté le palpebre; troppo sorpreso anche per chiederle cosa accidenti le fosse venuto in mente, la guardò alzarsi in piedi e piegarsi poco più in là per prendere la spada. Quando si voltò, lo sguardo di lei era quello più duro e meno umano che le conoscesse.

Aprì la bocca, ma qualcosa piombò nella terrazza con uno svolazzare di piume grigie, e dalle sue labbra non uscì nulla.

Thari strinse l’impugnatura assumendo la posizione tipica di quando combatteva. «Stai violando l’abitazione di Iside senza il suo consenso, puoi andare incontro a un richiamo ufficiale in merito. Non sei la benvenuta, Sekhmet.»

L’altra sollevò un sopracciglio e si toccò i lunghi capelli setosi. «Senti da quale pulpito. Sono venuta qua giusto per portarti da chi di dovere. Riportare te e il tuo amichetto umano al cospetto del capo delle milizie.»

«Cosa?»

«Hai capito bene. A quanto pare, qualcuno ha spifferato tutto e tu hai finito di giocare all’umana innamorata. Se tutto va per il meglio ti sarà tolto il tuo corpo da donna e dovrai seguire le ultime persone che devono rinascere, puoi solo sperare che sia così.»

Thari alzò la spada. «Stai mentendo.»

«Assolutamente no.»

«Perché non sono venuti loro a prendermi?»

L’altra indicò con il capo Ryker, che era rimasto immobile in un angolo del terrazzo, sul prato. «In realtà devo prendere lui, ma ho pensato che fosse utile richiamarti all’ordine, sorellina. In fondo, non avrai libertà per molto tempo: sai che per queste cose c’è un processo.» Schioccò la lingua. «O forse non lo sai perché sei mezza umana? Ti è sfuggito?»

«Stai mentendo.» Ripeté.

«Sul fatto che sia mezza umana? Oh, no; lo sanno tutti.»

La ragazza strinse gli occhi e parlò con timbro fermo e sicuro. «Non su questo.»

«Puoi crederci o meno. Io mi prendo il fanciullo e tu puoi fare ciò che vuoi; non mi interessa.»

Thari poggiò la punta della spada su quella di Sekhmet. «Prendilol allora.» Sibilò.

«Subito.» Il demone affondò sulla ragazza, che scartò sulla destra e cercò di colpirla di nuovo.

I muscoli si tesero all’istante sotto la pelle scura, le loro lame stridettero al contatto forzato e rapido; gli occhi di Sekhmet Neseret lampeggiarono di fulmini vermigli nella profondità delle tenebre, e le loro ali sbatterono nell’aria con colpi poderosi e controllati.

Quando l’arma di Thari sfiorò il fianco della donna, quella indietreggiò, creando una certa distanza tra loro due. «Lascialo tornare al suo mondo, Thari.»

«Lo farò. A tempo debito, quando la situazione si risolverà, ma di certo non lo lascerò nelle tue mani avide di vendetta.» Con la coda dell’occhio vide il ragazzo alzarsi e osservarle da poco lontano.

L’altra inclinò un poco il viso. «Pensi davvero che sia questo il motivo? In così tanto tempo non sei riuscita a capire quale fosse il nostro dovere? Il tuo dovere come Figlia di Ananke, con obblighi e doveri precisi, con un equilibrio universale da rispettare. Lui non può essere tuo e tu non puoi continuare a fuggire: tornerà alla sua vita e tu pagherai le conseguenze delle tue azioni.» Le lanciò un’occhiata algida. «Non sono io a decidere queste regole. Come non sono stata io a decidere di donarti un corpo degno di nostra madre. E sì, io non ero d’accordo perché non sei un demone puro: saresti caduta in errore, prima o poi, e quell’errore è arrivato. Non mi dispiace affatto dire che io lo avevo previsto, Thari. Questa è la realtà, e tuttavia non mi interessa torcere neppure un capello al quel bambino: finiti tutti i tuoi compiti, perderai la tua essenza di demone della rinascita, ed è questo quello che conta, perché tu non lo sei!» La fissò con il suo sguardo liquido e si avvicinò di un paio di passi. «Non è vendetta; è giustizia.»

«Potresti avere ragione, ma non te lo lascerò prendere come se fosse un giocattolo cui hai diritto.»

Sekhmet non aspettò neppure che finisse la frase, le saltò addosso con la spada inclinata verso di lei. La luce delle torce baluginò sulle armi bianche e, colpita alla base del pollice con un taglio rapido e profondo, Thari fu costretta lasciare l’impugnatura.

Fu questione di attimi. La ragazza arretrò, e scansò alcuni colpi di spada, ma non aveva nulla per difendersi; sapeva come sarebbe finita e si maledisse una volta di più. Lanciò uno sguardo a Ryker, subito dietro le spalle del demone, per comunicargli tutto il suo dispiacere, ma lui interpretò quel gesto in modo diverso.

Con tutta la forza che aveva corse e balzò al collo di Sekhmet. Lei emise un suono sordo, con un movimento troppo repentino per lui, indietreggiò spingendo con le ali e lo sbatté contro il muro; prima che lui potesse comprendere, lei lo afferrò per il collo, rigirandolo e stringendolo a sé.

Thari, che aveva ripreso la propria arma, si bloccò vedendo che quella di Sekhmet era alla giugulare del ragazzo. «Non puoi farlo rinascere.» Le uscì un mormorio incerto.

Lei piegò ancora di più il gomito intorno alla gola di lui. «Non voglio farlo rinascere. Voglio portare lui, e te con lui, al vostro posto.»

Ryker boccheggiò, pieno di rabbia, premendo le dita sul braccio di lei. «Io non voglio andare da nessuna parte.»

«Del resto, lo sai, non puoi tenerlo qui contro la sua volontà.» Continuò Sekhmet senza ascoltarlo.

«Non è contro la mia volontà.» Insistette lui.

«Ah, no? Strano.» Lo strattonò leggermente. «Forse perché tu, Thari, non gli hai detto che tra meno di un mese devi uccidere sua sorella.»

Il silenzio che seguì fu una stilettata di dolore dentro il petto; mura di castelli che si sgretolavano inesorabili al suolo, sotto i piedi. Tutto, ma non Lulù. Ryker alzò gli occhi verso Thari, la quale aprii la bocca senza essere in grado di farne uscire mezza parola; si sforzò di deglutire, distogliendo lo sguardo da quello angosciato e incredulo di lui.

L’omissione, il tradimento, la colpa.

Abbassò l’arma, puntata verso di loro.

«È vero?» Domandò lui con un filo di voce.

Lei mosse appena la testa in un movimento circolare, come se non fosse capace di fare altro.

«Certo che è vero.» Sekhmet lo sentì allentare la presa sul proprio braccio.

«È vero?» Chiese di nuovo.

Il mio amore ti ucciderà. «Sì…» Sussurrò.

Lui esitò alcuni istanti, poi esplose. «Non seguivi me, dopo mia madre. Seguivi lei.»

«Io…»

«Mi hai mentito. Tutto quello che hai detto era una menzogna. Hai fatto tutto questo perché dovevi uccidere lei!»

Lei scosse il capo con vigore. «No, Ryker. Dovevo seguire lei, ma mi sono innamorata di te, di quello che sei, di come vivi le tue emozioni; è la verità.»

Tutto, ma non Lulù. Lei doveva vivere, lei doveva essere felice. Lei ne stava uscendo con tutta la sua forza. Non lo meritava, nessuno di loro poteva meritare un'altra simile tragedia. «Se fosse così, me lo avresti detto.»

«Ben detto.» Commentò Sekhmet che sorrise soddisfatta dietro i capelli color cenere del ragazzo.

Lui lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Dentro di sé il panico lo stava assalendo, ma non voleva farlo vedere, perché la rabbia per tutto ciò che gli era successo, per le bugie, per quei sentimenti troppo violenti, lo avrebbero fatto urlare per il resto della sua vita. «Portami a casa, demone. Non voglio ricordare nulla di tutto questo.» L’asprezza di quella frase colpì Thari come una pugnalata nello stomaco.

Sekhmet lasciò la spada e lo afferrò per la vita, compiaciuta di quanto le cose fossero state più brevi del previsto. A volte bastavano poche parole e gli eventi prendevano pieghe diverse, inspiegabili, dure. Un attimo prima lui desiderava salvare una persona e forse ucciderne un’altra; ora chiedeva con tetra fermezza di essere portato via dalla seconda e di abbandonare alla propria sofferenza la prima.

«Mi dispiace.» Cercò di dire ancora la ragazza.

«Lo hai sempre detto, sono solo parole.» E le sue parole erano scagliate verso di lei come coltelli affilati.

L’amore. Lucida follia; oltre la logica delle leggi universali e parte di essa. «Lo so. E so cosa lei significhi per te. Ma non potevo dirti di lei; non potevo dirti quanto ti amassi.» Fece mezzo passo insicuro verso di lui.

Ryker voltò il viso e guardò gli occhi disumani di Sekhmet. «Portami via. Ora!» Crudele, giusto, ferito.

Il demone gli fece chiudere le palpebre e lui non vide il corpo di Thari cedere sotto quel dolore senza fine, nei meandri dilaniati dell’anima.

L’impotenza.

La colpa.

L’amore.



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A volte resuscito....