venerdì 26 novembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.11

Capitolo 11

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Le ciglia sbatterono appena. Lunghe, curve, nere. Nere su nero. Sugli occhi che tanto lo avevano spaventato. Ryker prese il viso di Thari tra le mani e le sfiorò le labbra continuando a guardarla.

La morte, le tenebre, due pozzi senza fine.

Conosceva quegli occhi da quando era bambino, ne conosceva la paura che suscitavano in lui. Tuttavia, allora non conosceva la dolcezza e l’umanità di quello sguardo che credeva solo di sognare nei momenti più tristi.

Non c’era tristezza, però; c’erano due occhi che poteva amare. E non importava cosa sarebbe successo, era troppo irreale troppo lontano. Non desiderava neppure pensarci, anche se avrebbe dovuto, avrebbe dovuto fare un sacco di cose; eppure era là, con lei, un mezzogiorno infuocato oltre il terrazzo, sul deserto silenzioso.

Thari si mosse appena e lo strinse.

Lui sorrise, ricambiandola. «Sai cos’è la cosa più strana, tesoro? Le tue ali.»

«Le ali?»

Ryker annuì. «Sì. Ti stupisce?»

Lei si strinse nelle spalle. «Pensavo che fosse il colore della pelle. O gli occhi. O i capelli bianchi.»

«No. Sono le ali, perché il resto è umano, molto umano, e se non lo fosse, lo è diventato insieme a te. Ma le ali… Thari, sono scomodissime!»

La ragazza ridacchiò. «Signor Mancini, come può dire una tale eresia? Le ali sono la parte del corpo più comoda e utile al mondo.»

«Più del cuore e il cervello?»

«A parte quelli.»

Ryker la costrinse a guardarlo piegandole il viso. «Non pensi che siano le uniche cose utili, o più utili, quando fai l’amore con me.»

Lei rise di nuovo con il suono cristallino che sgorgava dalla sua bocca. «Va bene, come vuoi; ma le ali sono utili e sono comodissime. Non sai quante cose non potrei fare, senza.»

«Per esempio?» Chiese lui corrugando la fronte.

Gli lanciò un’occhiata, fingendo impazienza. «Volare?»

«Non sono un sacco di cose.» Commentò Ryker di rimando.

«Sì, invece», protestò «è che tu…»

«Non puoi capire.» Concluse per lei.

Thari scosse il capo. «Non vuoi capire: non è possibile sindacare sull’utilità del volo, delle ali, dell’equilibrio. È così ovvio.»

Il ragazzo le tirò una ciocca. «Penso proprio che tu sia terribilmente donna, Nefthari, e quindi vuoi sempre avere l’ultima parola.»

Lei non replicò per qualche minuto, lasciando pensare a Ryker di averla offesa, anche se lui non ne vedeva il motivo. «Sai» disse infine, «nessuno mi chiama Nefthari.»

«Peccato. È un bel nome, per una come te.»

«Come lo conosci? Il nome intero, intendo.»

Lui ci dovette pensare alcuni istanti. «Lo ha detto Iside, quando l’ho conosciuta, sul Colosseo. Oh, cielo, sul Colosseo! Mai avrei pensato di poter dire sul Colosseo, al posto di accanto, davanti, dentro; è tutta colpa tua.»

Lei lo guardò con un’intensità tale che lui ne fu quasi imbarazzato. «Lo so. Non avrei mai dovuto farti tutto questo, se io fossi stata attenta alle mie stupide emozioni, ti avrei evitato tante sofferenze.»

Lui fece per ribattere e dire che non era più certo di quella realtà, ma lei, con una forza che lui in quel momento non si aspettava, lo spinse da una parte con una sola mano.

Ryker sbatté le palpebre; troppo sorpreso anche per chiederle cosa accidenti le fosse venuto in mente, la guardò alzarsi in piedi e piegarsi poco più in là per prendere la spada. Quando si voltò, lo sguardo di lei era quello più duro e meno umano che le conoscesse.

Aprì la bocca, ma qualcosa piombò nella terrazza con uno svolazzare di piume grigie, e dalle sue labbra non uscì nulla.

Thari strinse l’impugnatura assumendo la posizione tipica di quando combatteva. «Stai violando l’abitazione di Iside senza il suo consenso, puoi andare incontro a un richiamo ufficiale in merito. Non sei la benvenuta, Sekhmet.»

L’altra sollevò un sopracciglio e si toccò i lunghi capelli setosi. «Senti da quale pulpito. Sono venuta qua giusto per portarti da chi di dovere. Riportare te e il tuo amichetto umano al cospetto del capo delle milizie.»

«Cosa?»

«Hai capito bene. A quanto pare, qualcuno ha spifferato tutto e tu hai finito di giocare all’umana innamorata. Se tutto va per il meglio ti sarà tolto il tuo corpo da donna e dovrai seguire le ultime persone che devono rinascere, puoi solo sperare che sia così.»

Thari alzò la spada. «Stai mentendo.»

«Assolutamente no.»

«Perché non sono venuti loro a prendermi?»

L’altra indicò con il capo Ryker, che era rimasto immobile in un angolo del terrazzo, sul prato. «In realtà devo prendere lui, ma ho pensato che fosse utile richiamarti all’ordine, sorellina. In fondo, non avrai libertà per molto tempo: sai che per queste cose c’è un processo.» Schioccò la lingua. «O forse non lo sai perché sei mezza umana? Ti è sfuggito?»

«Stai mentendo.» Ripeté.

«Sul fatto che sia mezza umana? Oh, no; lo sanno tutti.»

La ragazza strinse gli occhi e parlò con timbro fermo e sicuro. «Non su questo.»

«Puoi crederci o meno. Io mi prendo il fanciullo e tu puoi fare ciò che vuoi; non mi interessa.»

Thari poggiò la punta della spada su quella di Sekhmet. «Prendilol allora.» Sibilò.

«Subito.» Il demone affondò sulla ragazza, che scartò sulla destra e cercò di colpirla di nuovo.

I muscoli si tesero all’istante sotto la pelle scura, le loro lame stridettero al contatto forzato e rapido; gli occhi di Sekhmet Neseret lampeggiarono di fulmini vermigli nella profondità delle tenebre, e le loro ali sbatterono nell’aria con colpi poderosi e controllati.

Quando l’arma di Thari sfiorò il fianco della donna, quella indietreggiò, creando una certa distanza tra loro due. «Lascialo tornare al suo mondo, Thari.»

«Lo farò. A tempo debito, quando la situazione si risolverà, ma di certo non lo lascerò nelle tue mani avide di vendetta.» Con la coda dell’occhio vide il ragazzo alzarsi e osservarle da poco lontano.

L’altra inclinò un poco il viso. «Pensi davvero che sia questo il motivo? In così tanto tempo non sei riuscita a capire quale fosse il nostro dovere? Il tuo dovere come Figlia di Ananke, con obblighi e doveri precisi, con un equilibrio universale da rispettare. Lui non può essere tuo e tu non puoi continuare a fuggire: tornerà alla sua vita e tu pagherai le conseguenze delle tue azioni.» Le lanciò un’occhiata algida. «Non sono io a decidere queste regole. Come non sono stata io a decidere di donarti un corpo degno di nostra madre. E sì, io non ero d’accordo perché non sei un demone puro: saresti caduta in errore, prima o poi, e quell’errore è arrivato. Non mi dispiace affatto dire che io lo avevo previsto, Thari. Questa è la realtà, e tuttavia non mi interessa torcere neppure un capello al quel bambino: finiti tutti i tuoi compiti, perderai la tua essenza di demone della rinascita, ed è questo quello che conta, perché tu non lo sei!» La fissò con il suo sguardo liquido e si avvicinò di un paio di passi. «Non è vendetta; è giustizia.»

«Potresti avere ragione, ma non te lo lascerò prendere come se fosse un giocattolo cui hai diritto.»

Sekhmet non aspettò neppure che finisse la frase, le saltò addosso con la spada inclinata verso di lei. La luce delle torce baluginò sulle armi bianche e, colpita alla base del pollice con un taglio rapido e profondo, Thari fu costretta lasciare l’impugnatura.

Fu questione di attimi. La ragazza arretrò, e scansò alcuni colpi di spada, ma non aveva nulla per difendersi; sapeva come sarebbe finita e si maledisse una volta di più. Lanciò uno sguardo a Ryker, subito dietro le spalle del demone, per comunicargli tutto il suo dispiacere, ma lui interpretò quel gesto in modo diverso.

Con tutta la forza che aveva corse e balzò al collo di Sekhmet. Lei emise un suono sordo, con un movimento troppo repentino per lui, indietreggiò spingendo con le ali e lo sbatté contro il muro; prima che lui potesse comprendere, lei lo afferrò per il collo, rigirandolo e stringendolo a sé.

Thari, che aveva ripreso la propria arma, si bloccò vedendo che quella di Sekhmet era alla giugulare del ragazzo. «Non puoi farlo rinascere.» Le uscì un mormorio incerto.

Lei piegò ancora di più il gomito intorno alla gola di lui. «Non voglio farlo rinascere. Voglio portare lui, e te con lui, al vostro posto.»

Ryker boccheggiò, pieno di rabbia, premendo le dita sul braccio di lei. «Io non voglio andare da nessuna parte.»

«Del resto, lo sai, non puoi tenerlo qui contro la sua volontà.» Continuò Sekhmet senza ascoltarlo.

«Non è contro la mia volontà.» Insistette lui.

«Ah, no? Strano.» Lo strattonò leggermente. «Forse perché tu, Thari, non gli hai detto che tra meno di un mese devi uccidere sua sorella.»

Il silenzio che seguì fu una stilettata di dolore dentro il petto; mura di castelli che si sgretolavano inesorabili al suolo, sotto i piedi. Tutto, ma non Lulù. Ryker alzò gli occhi verso Thari, la quale aprii la bocca senza essere in grado di farne uscire mezza parola; si sforzò di deglutire, distogliendo lo sguardo da quello angosciato e incredulo di lui.

L’omissione, il tradimento, la colpa.

Abbassò l’arma, puntata verso di loro.

«È vero?» Domandò lui con un filo di voce.

Lei mosse appena la testa in un movimento circolare, come se non fosse capace di fare altro.

«Certo che è vero.» Sekhmet lo sentì allentare la presa sul proprio braccio.

«È vero?» Chiese di nuovo.

Il mio amore ti ucciderà. «Sì…» Sussurrò.

Lui esitò alcuni istanti, poi esplose. «Non seguivi me, dopo mia madre. Seguivi lei.»

«Io…»

«Mi hai mentito. Tutto quello che hai detto era una menzogna. Hai fatto tutto questo perché dovevi uccidere lei!»

Lei scosse il capo con vigore. «No, Ryker. Dovevo seguire lei, ma mi sono innamorata di te, di quello che sei, di come vivi le tue emozioni; è la verità.»

Tutto, ma non Lulù. Lei doveva vivere, lei doveva essere felice. Lei ne stava uscendo con tutta la sua forza. Non lo meritava, nessuno di loro poteva meritare un'altra simile tragedia. «Se fosse così, me lo avresti detto.»

«Ben detto.» Commentò Sekhmet che sorrise soddisfatta dietro i capelli color cenere del ragazzo.

Lui lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Dentro di sé il panico lo stava assalendo, ma non voleva farlo vedere, perché la rabbia per tutto ciò che gli era successo, per le bugie, per quei sentimenti troppo violenti, lo avrebbero fatto urlare per il resto della sua vita. «Portami a casa, demone. Non voglio ricordare nulla di tutto questo.» L’asprezza di quella frase colpì Thari come una pugnalata nello stomaco.

Sekhmet lasciò la spada e lo afferrò per la vita, compiaciuta di quanto le cose fossero state più brevi del previsto. A volte bastavano poche parole e gli eventi prendevano pieghe diverse, inspiegabili, dure. Un attimo prima lui desiderava salvare una persona e forse ucciderne un’altra; ora chiedeva con tetra fermezza di essere portato via dalla seconda e di abbandonare alla propria sofferenza la prima.

«Mi dispiace.» Cercò di dire ancora la ragazza.

«Lo hai sempre detto, sono solo parole.» E le sue parole erano scagliate verso di lei come coltelli affilati.

L’amore. Lucida follia; oltre la logica delle leggi universali e parte di essa. «Lo so. E so cosa lei significhi per te. Ma non potevo dirti di lei; non potevo dirti quanto ti amassi.» Fece mezzo passo insicuro verso di lui.

Ryker voltò il viso e guardò gli occhi disumani di Sekhmet. «Portami via. Ora!» Crudele, giusto, ferito.

Il demone gli fece chiudere le palpebre e lui non vide il corpo di Thari cedere sotto quel dolore senza fine, nei meandri dilaniati dell’anima.

L’impotenza.

La colpa.

L’amore.



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A volte resuscito....