venerdì 26 novembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.11

Capitolo 11

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Le ciglia sbatterono appena. Lunghe, curve, nere. Nere su nero. Sugli occhi che tanto lo avevano spaventato. Ryker prese il viso di Thari tra le mani e le sfiorò le labbra continuando a guardarla.

La morte, le tenebre, due pozzi senza fine.

Conosceva quegli occhi da quando era bambino, ne conosceva la paura che suscitavano in lui. Tuttavia, allora non conosceva la dolcezza e l’umanità di quello sguardo che credeva solo di sognare nei momenti più tristi.

Non c’era tristezza, però; c’erano due occhi che poteva amare. E non importava cosa sarebbe successo, era troppo irreale troppo lontano. Non desiderava neppure pensarci, anche se avrebbe dovuto, avrebbe dovuto fare un sacco di cose; eppure era là, con lei, un mezzogiorno infuocato oltre il terrazzo, sul deserto silenzioso.

Thari si mosse appena e lo strinse.

Lui sorrise, ricambiandola. «Sai cos’è la cosa più strana, tesoro? Le tue ali.»

«Le ali?»

Ryker annuì. «Sì. Ti stupisce?»

Lei si strinse nelle spalle. «Pensavo che fosse il colore della pelle. O gli occhi. O i capelli bianchi.»

«No. Sono le ali, perché il resto è umano, molto umano, e se non lo fosse, lo è diventato insieme a te. Ma le ali… Thari, sono scomodissime!»

La ragazza ridacchiò. «Signor Mancini, come può dire una tale eresia? Le ali sono la parte del corpo più comoda e utile al mondo.»

«Più del cuore e il cervello?»

«A parte quelli.»

Ryker la costrinse a guardarlo piegandole il viso. «Non pensi che siano le uniche cose utili, o più utili, quando fai l’amore con me.»

Lei rise di nuovo con il suono cristallino che sgorgava dalla sua bocca. «Va bene, come vuoi; ma le ali sono utili e sono comodissime. Non sai quante cose non potrei fare, senza.»

«Per esempio?» Chiese lui corrugando la fronte.

Gli lanciò un’occhiata, fingendo impazienza. «Volare?»

«Non sono un sacco di cose.» Commentò Ryker di rimando.

«Sì, invece», protestò «è che tu…»

«Non puoi capire.» Concluse per lei.

Thari scosse il capo. «Non vuoi capire: non è possibile sindacare sull’utilità del volo, delle ali, dell’equilibrio. È così ovvio.»

Il ragazzo le tirò una ciocca. «Penso proprio che tu sia terribilmente donna, Nefthari, e quindi vuoi sempre avere l’ultima parola.»

Lei non replicò per qualche minuto, lasciando pensare a Ryker di averla offesa, anche se lui non ne vedeva il motivo. «Sai» disse infine, «nessuno mi chiama Nefthari.»

«Peccato. È un bel nome, per una come te.»

«Come lo conosci? Il nome intero, intendo.»

Lui ci dovette pensare alcuni istanti. «Lo ha detto Iside, quando l’ho conosciuta, sul Colosseo. Oh, cielo, sul Colosseo! Mai avrei pensato di poter dire sul Colosseo, al posto di accanto, davanti, dentro; è tutta colpa tua.»

Lei lo guardò con un’intensità tale che lui ne fu quasi imbarazzato. «Lo so. Non avrei mai dovuto farti tutto questo, se io fossi stata attenta alle mie stupide emozioni, ti avrei evitato tante sofferenze.»

Lui fece per ribattere e dire che non era più certo di quella realtà, ma lei, con una forza che lui in quel momento non si aspettava, lo spinse da una parte con una sola mano.

Ryker sbatté le palpebre; troppo sorpreso anche per chiederle cosa accidenti le fosse venuto in mente, la guardò alzarsi in piedi e piegarsi poco più in là per prendere la spada. Quando si voltò, lo sguardo di lei era quello più duro e meno umano che le conoscesse.

Aprì la bocca, ma qualcosa piombò nella terrazza con uno svolazzare di piume grigie, e dalle sue labbra non uscì nulla.

Thari strinse l’impugnatura assumendo la posizione tipica di quando combatteva. «Stai violando l’abitazione di Iside senza il suo consenso, puoi andare incontro a un richiamo ufficiale in merito. Non sei la benvenuta, Sekhmet.»

L’altra sollevò un sopracciglio e si toccò i lunghi capelli setosi. «Senti da quale pulpito. Sono venuta qua giusto per portarti da chi di dovere. Riportare te e il tuo amichetto umano al cospetto del capo delle milizie.»

«Cosa?»

«Hai capito bene. A quanto pare, qualcuno ha spifferato tutto e tu hai finito di giocare all’umana innamorata. Se tutto va per il meglio ti sarà tolto il tuo corpo da donna e dovrai seguire le ultime persone che devono rinascere, puoi solo sperare che sia così.»

Thari alzò la spada. «Stai mentendo.»

«Assolutamente no.»

«Perché non sono venuti loro a prendermi?»

L’altra indicò con il capo Ryker, che era rimasto immobile in un angolo del terrazzo, sul prato. «In realtà devo prendere lui, ma ho pensato che fosse utile richiamarti all’ordine, sorellina. In fondo, non avrai libertà per molto tempo: sai che per queste cose c’è un processo.» Schioccò la lingua. «O forse non lo sai perché sei mezza umana? Ti è sfuggito?»

«Stai mentendo.» Ripeté.

«Sul fatto che sia mezza umana? Oh, no; lo sanno tutti.»

La ragazza strinse gli occhi e parlò con timbro fermo e sicuro. «Non su questo.»

«Puoi crederci o meno. Io mi prendo il fanciullo e tu puoi fare ciò che vuoi; non mi interessa.»

Thari poggiò la punta della spada su quella di Sekhmet. «Prendilol allora.» Sibilò.

«Subito.» Il demone affondò sulla ragazza, che scartò sulla destra e cercò di colpirla di nuovo.

I muscoli si tesero all’istante sotto la pelle scura, le loro lame stridettero al contatto forzato e rapido; gli occhi di Sekhmet Neseret lampeggiarono di fulmini vermigli nella profondità delle tenebre, e le loro ali sbatterono nell’aria con colpi poderosi e controllati.

Quando l’arma di Thari sfiorò il fianco della donna, quella indietreggiò, creando una certa distanza tra loro due. «Lascialo tornare al suo mondo, Thari.»

«Lo farò. A tempo debito, quando la situazione si risolverà, ma di certo non lo lascerò nelle tue mani avide di vendetta.» Con la coda dell’occhio vide il ragazzo alzarsi e osservarle da poco lontano.

L’altra inclinò un poco il viso. «Pensi davvero che sia questo il motivo? In così tanto tempo non sei riuscita a capire quale fosse il nostro dovere? Il tuo dovere come Figlia di Ananke, con obblighi e doveri precisi, con un equilibrio universale da rispettare. Lui non può essere tuo e tu non puoi continuare a fuggire: tornerà alla sua vita e tu pagherai le conseguenze delle tue azioni.» Le lanciò un’occhiata algida. «Non sono io a decidere queste regole. Come non sono stata io a decidere di donarti un corpo degno di nostra madre. E sì, io non ero d’accordo perché non sei un demone puro: saresti caduta in errore, prima o poi, e quell’errore è arrivato. Non mi dispiace affatto dire che io lo avevo previsto, Thari. Questa è la realtà, e tuttavia non mi interessa torcere neppure un capello al quel bambino: finiti tutti i tuoi compiti, perderai la tua essenza di demone della rinascita, ed è questo quello che conta, perché tu non lo sei!» La fissò con il suo sguardo liquido e si avvicinò di un paio di passi. «Non è vendetta; è giustizia.»

«Potresti avere ragione, ma non te lo lascerò prendere come se fosse un giocattolo cui hai diritto.»

Sekhmet non aspettò neppure che finisse la frase, le saltò addosso con la spada inclinata verso di lei. La luce delle torce baluginò sulle armi bianche e, colpita alla base del pollice con un taglio rapido e profondo, Thari fu costretta lasciare l’impugnatura.

Fu questione di attimi. La ragazza arretrò, e scansò alcuni colpi di spada, ma non aveva nulla per difendersi; sapeva come sarebbe finita e si maledisse una volta di più. Lanciò uno sguardo a Ryker, subito dietro le spalle del demone, per comunicargli tutto il suo dispiacere, ma lui interpretò quel gesto in modo diverso.

Con tutta la forza che aveva corse e balzò al collo di Sekhmet. Lei emise un suono sordo, con un movimento troppo repentino per lui, indietreggiò spingendo con le ali e lo sbatté contro il muro; prima che lui potesse comprendere, lei lo afferrò per il collo, rigirandolo e stringendolo a sé.

Thari, che aveva ripreso la propria arma, si bloccò vedendo che quella di Sekhmet era alla giugulare del ragazzo. «Non puoi farlo rinascere.» Le uscì un mormorio incerto.

Lei piegò ancora di più il gomito intorno alla gola di lui. «Non voglio farlo rinascere. Voglio portare lui, e te con lui, al vostro posto.»

Ryker boccheggiò, pieno di rabbia, premendo le dita sul braccio di lei. «Io non voglio andare da nessuna parte.»

«Del resto, lo sai, non puoi tenerlo qui contro la sua volontà.» Continuò Sekhmet senza ascoltarlo.

«Non è contro la mia volontà.» Insistette lui.

«Ah, no? Strano.» Lo strattonò leggermente. «Forse perché tu, Thari, non gli hai detto che tra meno di un mese devi uccidere sua sorella.»

Il silenzio che seguì fu una stilettata di dolore dentro il petto; mura di castelli che si sgretolavano inesorabili al suolo, sotto i piedi. Tutto, ma non Lulù. Ryker alzò gli occhi verso Thari, la quale aprii la bocca senza essere in grado di farne uscire mezza parola; si sforzò di deglutire, distogliendo lo sguardo da quello angosciato e incredulo di lui.

L’omissione, il tradimento, la colpa.

Abbassò l’arma, puntata verso di loro.

«È vero?» Domandò lui con un filo di voce.

Lei mosse appena la testa in un movimento circolare, come se non fosse capace di fare altro.

«Certo che è vero.» Sekhmet lo sentì allentare la presa sul proprio braccio.

«È vero?» Chiese di nuovo.

Il mio amore ti ucciderà. «Sì…» Sussurrò.

Lui esitò alcuni istanti, poi esplose. «Non seguivi me, dopo mia madre. Seguivi lei.»

«Io…»

«Mi hai mentito. Tutto quello che hai detto era una menzogna. Hai fatto tutto questo perché dovevi uccidere lei!»

Lei scosse il capo con vigore. «No, Ryker. Dovevo seguire lei, ma mi sono innamorata di te, di quello che sei, di come vivi le tue emozioni; è la verità.»

Tutto, ma non Lulù. Lei doveva vivere, lei doveva essere felice. Lei ne stava uscendo con tutta la sua forza. Non lo meritava, nessuno di loro poteva meritare un'altra simile tragedia. «Se fosse così, me lo avresti detto.»

«Ben detto.» Commentò Sekhmet che sorrise soddisfatta dietro i capelli color cenere del ragazzo.

Lui lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Dentro di sé il panico lo stava assalendo, ma non voleva farlo vedere, perché la rabbia per tutto ciò che gli era successo, per le bugie, per quei sentimenti troppo violenti, lo avrebbero fatto urlare per il resto della sua vita. «Portami a casa, demone. Non voglio ricordare nulla di tutto questo.» L’asprezza di quella frase colpì Thari come una pugnalata nello stomaco.

Sekhmet lasciò la spada e lo afferrò per la vita, compiaciuta di quanto le cose fossero state più brevi del previsto. A volte bastavano poche parole e gli eventi prendevano pieghe diverse, inspiegabili, dure. Un attimo prima lui desiderava salvare una persona e forse ucciderne un’altra; ora chiedeva con tetra fermezza di essere portato via dalla seconda e di abbandonare alla propria sofferenza la prima.

«Mi dispiace.» Cercò di dire ancora la ragazza.

«Lo hai sempre detto, sono solo parole.» E le sue parole erano scagliate verso di lei come coltelli affilati.

L’amore. Lucida follia; oltre la logica delle leggi universali e parte di essa. «Lo so. E so cosa lei significhi per te. Ma non potevo dirti di lei; non potevo dirti quanto ti amassi.» Fece mezzo passo insicuro verso di lui.

Ryker voltò il viso e guardò gli occhi disumani di Sekhmet. «Portami via. Ora!» Crudele, giusto, ferito.

Il demone gli fece chiudere le palpebre e lui non vide il corpo di Thari cedere sotto quel dolore senza fine, nei meandri dilaniati dell’anima.

L’impotenza.

La colpa.

L’amore.



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A volte resuscito....

giovedì 21 ottobre 2010

You know...

Cosa posso fare, mentre il cuore batte?
Sono ciò che sono, su tulipani di seta,
nei colori infantili della mia stanza
mentre fisso una tua foto.
Sono ciò che sono, quando le tue mani
mi rendono donna
e il tuo profumo si perde nell’aria.
Ascolto quest’emozione che cresce,
nella paura di lottare, il desiderio di vivere,
un desiderio d’amore.
Mentre canto l’impazienza dei giorni,
lo schiocco di un bacio imbeve i fili del telefono,
il calore delle labbra che scaldano una notte,
le parole d’amore che non sono mai troppe,
quando sei triste e il futuro non ha contorni.
E resti in silenzio fissando la luna
E le mie lacrime riempiono una richiesta.
Sono ciò che sono, tra le rose rosse
dell’ultimo sorriso, cacciando spine verdi
nella speranza che non vuole morire.
Nei dubbi di questa esistenza pulsiamo come bassi
urlando peccati nascosti sotto la pelle,
sotto i vestiti che mi togli.
Fresca innocenza riempie le notti mielate
dell’estati che si rincorrono.
Lascio dipingere cieli azzurri nei tuoi occhi,
quando il sole brilla su di noi,
quando il freddo si permea di stelle.
La passione spalanca le porte
vibrando di noi...
Chiudo gli occhi,
quando il grigiore m’invade; e ti sento respirare.
Sono ciò che sono, quando resti a guardarmi...
Scivolando nell’anima, una perfezione che non ho,
un corpo a corpo con la vita, arrendendomi
al nostro treno sui pendii di fiori.
Sono ciò che sono...
Ora che piango tra le rive nascoste
di quest’emozione,
ora che piango di dolore incompreso,
ora che piango, legando queste lacrime a un sogno
nella notte, piangendo d’amore.
E ti sento vivere.

gennaio 2006



to You

martedì 19 ottobre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.10

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Capitolo 10

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Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it here in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

Heaven - Bryan Adams


Il sole tremolava incerto sull’orizzonte, come se combattesse il caldo che proveniva dalla sabbia del deserto. Thari lo guardava assorta nei suoi mille pensieri e nel suo senso di colpa, che la schiacciava come una cascata che non la lasciava respirare.

Non era in grado di gestire quel momento, non era in grado di dare un senso alle azioni che aveva compiuto, senza darsi della stupida. Le leggi che da tempi remoti regolavano il sistema le parvero all’improvviso insindacabili; e lei le aveva infrante.

Le aveva infrante due volte: quando si era resa visibile a un umano e quando si era innamorata di un umano. E quella era una legge che avrebbe dovuto tenere presente fin da subito; invece non lo aveva fatto. Con la scusa di praticare una parte del suo lavoro, aveva imparato a conoscere Ryker fin dentro l’anima. Quel luogo inaccessibile anche agli stessi umani.

In quel modo lo aveva amato; in quel modo lo aveva tradito.

Tradito perché ora sapeva, tradito perché non sapeva. Tradito perché lo amava.

Le leggi non servono a nulla, se esiste il libero arbitrio. Le leggi non servono a nulla, se il cuore non è in grado di seguirle. Aveva infranto le leggi e presto avrebbe infranto bene altre cose.

Con la coda dell’occhio vide Ryker giungere sulla terrazza, con il suo passo virile e la dolcezza dei movimenti; Thari strinse le braccia attorno alle ginocchia. Lui si sedette accanto a lei, guardando il Sahara. «Scusami per prima.» Disse, senza alcuna esitazione.

«Oh, non importa. Hai ragione, sono un demone e quello che faccio è togliere vite umane. Ed è colpa mia se sei bloccato qui.» Mormorò.

Lui si voltò e le diede una leggera botta con la spalla. «Questo è poco ma sicuro.» Commentò in tono canzonatorio.

Lei abbassò il mento e lui la cinse con le braccia, lasciando che Thari poggiasse la testa su di lui, il quale si riempì il naso di rose selvatiche, mentre la cullava con delicatezza. «Per me non è facile. Non è facile stare qui, stare lontano da casa, accettare tutto ciò che è successo nell’ultimo tempo.» Disse lentamente, dosando ogni singola parola. «Tuttavia non sono così sciocco da pensare che per te sia una questione semplice o un capriccio: so che lo stai facendo per me, per riparare a qualcosa che tu hai fatto, ma in cui io ormai sono coinvolto. Perdonami se a volte non riesco a sopportare questa situazione; non sono arrabbiato con te o forse sì, non ha importanza, ormai.» Le accarezzò la testa. «Grazie per quello che stai facendo adesso. Va bene così.» Il tono era basso e deciso, un timbro rassicurante. «Davvero, Thari.»

Lei chiuse gli occhi per un momento, ascoltando l’eco morbida del proprio nome sulle labbra di lui. Un tomento delizioso e troppo breve. Così breve. Il cielo sfolgorò i mille colori del tramonto quando il sole scivolò oltre la linea della terra. «Faccio un sacco di guai.» La voce cristallina incrinata nella consapevolezza delle proprie azioni.

L’errore, il tradimento, la colpa.

«Per essere un demone sei fin troppo umana.»

«Non so se prenderlo come un complimento.» Alzò il viso verso di lui. «Mi odi per tutto questo?» Domandò con voce querula.

Ryker sorrise. Il sorriso dolce di chi era abituato a farlo, il sorriso generoso di chi ci mette amore e comprensione. «Un po’.» Con il pollice le sfiorò la guancia, subito sotto l’occhio, chiedendosi se dei demoni potessero mai piangere, e trovò il fatto talmente ironico che si dovette sforzare per non ridere; non desiderava in nessun modo farle credere che stesse ridendo di lei, né desiderava farla sentire a disagio. Invero, desiderava che gli angoli delle sue labbra si piegassero verso l’alto.

Ma Thari le teneva piegate in un vago broncio infantile; lo sguardo perso negli occhi azzurri di lui; la pelle avida del respiro soffice di Ryker. Lui piegò il viso e la baciò con gentilezza.

Thari chiuse gli occhi, sciogliendo i muscoli tesi, e gli prese il viso con entrambe le mani. Avrebbe voluto essere un’essenza sola con lui, avrebbe voluto che lui non smettesse di baciarla per tutta la breve vita che le rimaneva. «È possibile desiderare il tuo corpo e la tua mente più di quanto io abbia mai immaginato?» Mormorò sulle sue labbra; le ali che si muovevano appena, placide, dietro di lei.

Ryker continuò a baciarla crogiolandosi nel suono delle parole di lei, sul significato delicato e nello stesso tempo invitante; infine sorrise. «Io non avevo mai immaginato nulla di tutto questo.» Con la lingua seguì la linea dritta della mandibola, quindi fece una leggera pressione su di lei con la mano, facendola sdraiare sul pavimento di prato, morbido letto dai riflessi smeraldini. Il denso calore del sangue, che percorreva il suo corpo, che colmava la sua brama, era un fiume di seta privo di dighe. «Se vuoi farmi impazzire in questa storia, fammi impazzire come si deve.» Bisbigliò al suo orecchio, prima di baciarle il collo.

Lei respirò a fondo; lo stomaco stretto in una morsa di dolce tensione. Le ali del tutto spalancate sull’erba, rilassate, mentre il corpo di lui scivolava sul suo. Ryker le sciolse la cordicella che le teneva fermi i vestiti, e quelli si aprirono silenziosi, scoprendole il seno sodo. Le labbra bagnate di lui scesero a baciarli e Thari ansimò inarcando la schiena.

Le infinite tonalità del blu invasero il cielo del Sahara, fuori la terrazza coperta, e, dentro, il fuoco delle torce si dipingeva danzante su di loro. La ragazza chiuse gli occhi, mentre il desiderio stillava umido da lei alla ricerca di un sentimento vivo e passionale. La bocca di lui disegnava percorsi invisibili sul corpo nero, che fremette sotto le sue mani candide e sicure, quando le sciolsero la gonna; le piume grigie carezzarono i fili d’erba in un breve sussulto. Thari prese il viso del ragazzo e lo attrasse al proprio; lo guardò negli occhi, senza esitazioni. «Se nella mia vita il mio cuore ha mai desiderato qualcosa più dell’aria, quel qualcosa sei tu; adesso.»

L’errore, il tradimento, la colpa.

L’amore. L’amore fulgido; l’eternità di un sentimento senza luogo, senza spazio, senza misura. Luce e ombra di un estremo volere; impalpabile egoismo.

Non posso.

La menzogna, l’omissione, la colpa.

Ryker le sfiorò i capelli dai riflessi argentei e la baciò a lungo. Poi si staccò da lei e le baciò il naso. «Thari, non so se rivivrò questo momento solo nei miei attimi più onirici, né come finirà questa storia; ma so che, qualsiasi cosa tu sia, sei la cosa più bella che potessi avere e il demone più dolce che io potessi conoscere.»

L’amore. Lucida follia; lacrima di gioia, attraente delirio di anime sognanti. La mente, il corpo: il risucchio dei sensi, oltre la logica delle leggi universali.

Non posso.

L’omissione.

Il tradimento.

La colpa.

L’amore. Thari gli rivolse un sorriso disarmante, carico di tutto ciò che provava per lui. Con la punta delle dita percorse la colonna vertebrale di lui in tutta la sua lunghezza, fino alle natiche; lo liberò della stoffa drappeggiata dalla vita e fece risalire le mani. Gliele poggiò sul petto e osservò il diamante corvino sul bianco velluto; le fece scorrere su di lui lentamente e lo attrasse a sé.

Ryker assaporò quel bacio caldo, assaporò ogni parte di lei e lei si sciolse, languida, sotto di lui. L’intensa voluttà rimbombava nelle vene e il tempo le parve, per una volta, magicamente infinito. Il risucchio dei sensi.

Trattenne il respiro quando lui si fece strada dentro di lei: si aspettava che sarebbe fuggito da un momento all’altro, che avrebbe scoperto qualcosa di non umano che lo avrebbe terrorizzato. Tuttavia lui incastrò lo sguardo nei suoi profondi occhi color pece e gustò ogni istante di quel percorso, fino a che non arrivò alla fine ed entrambi gemettero.

L’amore. Oltre la logica delle leggi universali, e parte di esse.

Thari socchiuse le labbra in un muto grido di dolore e piacere; lui scese a baciargliele e lei chiuse le palpebre. La sua mente contemplò il sentimento soffuso che scaturiva dal cuore di lui e lei si beò della sensazione di quell’intreccio perfetto, di lui dentro di sé, del bianco e del nero, dell’umano e del demone. Erano forgiati insieme nello spazio impalpabile di un tramonto senza fine. Il mio amore ti ucciderà. «Sono tua, ora.» Sussurrò, cingendolo con le gambe.

«Sarai mia per sempre.» Replicò Ryker con voce roca, senza sapere che quelle parole piene di una irreale promessa di eternità, racchiudevano un doloroso nocciolo di verità.

Lei fece per rispondere, ma lui uscì e affondò nuovamente dentro di lei. Thari avvampò e il suo bacino si sollevò, avido, verso di lui.





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Ancora grazie a chi sta seguendo questa storia.

Sullo scorso capitolo sto meditando.

Questo, in realtà, era più lungo, con uno stacco, ma ho preferito dividere il decimo capitolo in due più piccole. Anche se più brevi, poi capirete -forse- che è stato meglio così.

Questa è la vera piega diversa che aveva preso il racconto, quando lo dicevo tempo fa. Non voleva essere una storia d'amore, ma lo è diventata. Si vede che ono ancora romantica come una volta, inutile negarlo...


mercoledì 13 ottobre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.9

Capitolo 9

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«Torno presto.» Questo gli aveva detto Thari andandosene.

Ma erano passati tre giorni e lui non poteva più resistere. Si era coperto con i lenzuoli del proprio letto e con uno aveva creato una sacca in cui mettere le bottiglie d’acqua e i biscotti. Non era certo di quello che stesse per fare, ma la frustrazione e la sensazione che tutto ciò che stava vivendo fosse oltre le capacità umane, gli diede la spinta per avventurarsi.

Nord est. Quella era la direzione in cui, a detta di Thari, si trovava il primo villaggio; doveva solo seguire quella direzione e con tre, forse quattro giorni di marcia sarebbe arrivato. Là avrebbe chiesto aiuto e in qualche modo sarebbe tornato a casa, a Roma.

Lei non glielo aveva detto, ma il ragazzo aveva capito dalle poche informazioni che aveva fornito che Thari era nella capitale italiana per far rinascere una persona. A quanto pareva i demoni della rinascita erano così occupati nell’espletare i loro doveri che Iside non riusciva a coprire sempre il lavoro di entrambe. E c’erano rinascite che non potevano aspettare.

Sotto il sole africano Ryker sospirò.

Come poteva essere finito in quel guaio? Voltandosi indietro si accorse di non avere più idea di dove fosse la casa di Iside. Decise di non voltarsi più e di proseguire il più velocemente possibile.

Tuttavia, quando il sole si fece alto nel cielo, l’aria divenne secca e respirare significava raschiare dentro naso e bocca. Dovette rallentare il passo e bere più volte a piccoli sorsi. Fu solo dopo il tramonto, però, che si rese conto dell’insensatezza di quella decisione; eppure lo sapeva che il deserto era infame, lo sapeva che la notte poteva essere gelida e che la sabbia poteva nascondere bestie velenose.

Lui che tutta la vita aveva calcolato i pro e i contro di ogni azione, che non aveva fatto scelte senza prevederne le conseguenze, ora si trovava, come un qualsiasi sprovveduto, da solo nel deserto con qualche lenzuolo di cotone e pochissimi viveri.

La sua vita era cambiata. Lui era cambiato. Questo era il punto a cui non riusciva a dare voce: Thari lo aveva trasformato per sempre, con il suo mondo, le sue battaglie, i suoi stupidi complessi da ragazzina emarginata.

Thari e la sua forza. Thari e la sua dolcezza. Thari e il suo bellissimo viso. Come aveva fatto a cedere a qualcosa di così irreale? Per quello si trovava nel bel mezzo del Sahara.

O forse non era andata così: Thari si era innamorata di lui prima che lui potesse anche solo sapere di quel mondo di demoni che regolava la vita degli umani. Ryker emise una risata disarticolata, priva di felicità: qualsiasi ragazza che avesse frequentato era stata allontanata da lui prima che potesse diventare qualcosa di serio, perché non poteva permettersi di abbandonare la famiglia, non ancora. Ma Thari si era innamorata prima.

E mai lontananza da casa fu più reale di quella.

Si addormentò tremando di freddo, e chiedendosi se avrebbe mai rivisto il padre, Matteo e Lucrezia. Lucrezia, la sua piccola Lucrezia.

L’alba nel cielo infinito lo svegliò quando a ovest si vedevano ancora le stelle. Non si rese neppure conto di aver di nuovo iniziato a camminare e si riscosse sorpreso quando le dune sabbiose lasciarono il posto a un deserto piatto, dalla terra brulla e polverosa.

A sud est, in lontananza, delle montagne si alzavano isolate e inquietanti. Ryker sospirò e continuò a camminare sotto il sole mischiando il viso candido di Lulù a quello onice di Thari; le immagini, del tutto diverse tra loro, apparivano confuse nella sua mente stanca.

In quello stato passò due giorni, fino a quando nel tardo pomeriggio non scorse una macchina venirgli incontro.

Il ragazzo strinse le palpebre, tentando di mettere a fuoco, e nel comprendere che fosse una jeep alzò le braccia d’istinto e urlò: «Sono qui.»

La vettura lo raggiunse e ne scesero due uomini dalla carnagione olivastra che indossavano abiti europei. Uno dei due puntò un’arma corta verso di lui, mentre l’altro si avvicinava.

«Ehi, sono italiano.» Provò a dire Ryker facendo un passo indietro. Ma l’altro gli rispose in una lingua sconosciuta, con un tono alto e frettoloso. Lo afferrò per un braccio e gli chiese qualcosa.

«Sono italiano», ripeté Ryker, questa volta in inglese. «Mi sono perso e devo raggiungere l’ambasciata italiana.» La sua voce tremò di una paura atavica nell’osservare l’arma contro di lui.

«Aş-Şmt!» Fu tutto quello che gli risposero gli uomini e senza neppure tentare di comprenderlo. Quello più vicino lo tirò, allora Ryker fece resistenza e tentò di divincolarsi; l’altro non ci pensò neppure un attimo: sferrò un pugno con la destra e lo colpì in volto.

Ryker ansimò per la sorpresa più che per il dolore e il sangue gli colò lungo la guancia. Insieme i due uomini lo trascinarono dentro la macchina, dove lo ammanettarono e lo bendarono.

Nel buio completo Ryker li sentì parlare e si sentì ripetere sottovoce. «Sono italiano.»

***

Doveva essersi addormentato, perché quando la macchina si fermò fece uno scatto in avanti e da sotto la benda che gli copriva gli occhi vide filtrare luce solare.

Qualcuno lo prese e lo fece scendere fuori dal veicolo, poi lo spinse parlottando in quella che il ragazzo pensava fosse lingua araba. Lo condusse lungo un cammino rettilineo poi svoltarono un paio di volte fino a fermarsi davanti a una porta. L’altro l’aprì e lo spinse dentro, senza una parola.

Rimase immobile per diversi minuti, chiedendosi se ci fosse almeno un muscolo del suo corpo che non dolesse. E pensò che no, non c’era. Infine la porta fu aperta di nuovo e un paio di mani dalle dita, ruvide e callose, gli sciolse la benda; il possessore di quelle dita lo studiò qualche secondo e aggrottando la fronte gli domandò qualcosa.

«Non capisco.» Replicò il ragazzo senza riuscire a nascondere la frustrazione e la rabbia.

L’uomo si grattò la barba brizzolata e urlò qualcosa verso fuori. Poco dopo lo raggiunse un altro uomo, armato, che tirò fuori da una delle sue tasche un foglio logoro e ripiegato più volte su se stesso; lo aprì e lo stese per bene, mostrandolo a Ryker.

Lui lo guardò perplesso. L’uomo che era entrato per primo batté l’indice sul suo petto e poi sul foglio che rappresentava la cartina dell’Europa. Ryker allora indicò l’Italia.

Il secondo uomo agitò la pistola e borbottò qualcosa, manifestando palese dissenso. L’altro non vi badò, ripiegò la cartina girando sui tacchi e uscendo dalla stanza.

«Ehi, slegatemi le mani.»

L’uomo armato, che doveva avere una trentina di anni, sogghignò guardandolo sollevare i polsi legati, e rise ancora di più quando lo stomaco del ragazzo brontolò. Uscì chiudendo di nuovo a chiave la porta.

Ryker poggiò le spalle al muro e strinse le labbra, osservando la stanza piccola, buia e dalle pareti senza intonaco. Scivolò a terra e batté il capo al muro meccanicamente: non poteva credere a quella situazione. Imprecò sottovoce e poi rise, una risata disperata che si spense gradualmente, mentre davanti a lui si materializzava un corpo nero.

Si irrigidì e poi si rilassò mettendo a fuoco la sclera bianca delle orbite. «Thari.» Mormorò.

Lei inclinò il viso, con un’espressione molto seria. «Almeno te la ridi.» Commentò, inchinandosi sulle gambe.

«Mio Dio» replicò lui. «Questa volta spero che tu sia reale, dimmi che sei reale, che sei qui e mi porterai via.»

Lei osservò il taglio che il ragazzo aveva sotto l’occhio, provocato dal pugno che gli avevano dato. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse; quindi allungò una mano e la poggiò sulla sua guancia.

Lui rimase immobile avvertendo il calore che emanava dal palmo di lei. «Mi dispiace.» Disse a bassa voce. «Thari, mi dispiace davvero. Non stavo scappando… da te. Io non lo so perché l’ho fatto.»

Lei gli fece cenno di fare silenzio. «Vuoi rimanere qui o tornare a casa di Iside?» Chiese atona, alzandosi e senza guardarlo.

«Tornare con te

Lo fissò per un minuto interminabile, infine lo sollevò da terra con la solita facilità e aggrottò la fronte. «Sei sicuro?»

Lui scosse il capo. «Pensi davvero…»

«Allora chiudi gli occhi.» Lo interruppe, gelida.

«Perché?»

«Chiudi gli occhi e basta, Ryker. Chiudi gli occhi e fai silenzio; entrambe le cose fino a che non dico il contrario.»

***

Il gorgogliare di una delle fontane della casa riempiva l’eco di un’allegria sommessa, tra le pareti senza tempo che silenziose raccoglievano i movimenti calcolati del demone e dell’umano. Ryker aveva mangiato e fatto una doccia, infine aveva dormito a lungo nel letto a baldacchino in cui aveva sempre dormito quei giorni.

Doveva essere primo pomeriggio e le tende frusciavano leggere. Spostò la mano sul cuscino setoso ed emise un sospiro appena percepibile. Cinque dita vellutate si poggiarono lentamente sulle sue; il tocco di una farfalla che si posa su un fiore; il calore di un raggio di sole.

«Ryker?»

La sua voce era troppo dolce, una dolcezza che stordiva, perché lei lo stordiva. Con il dolore graffiante; la rabbia millenaria; l’amore serico, tenero e sensuale. Quel sentimento puro penetrava nella pelle, un veleno troppo buono. Il tuo amore mi ucciderà.

«Ryker?»

Ripetilo mille e mille volte; e non mi basterà. Il proprio nome che risuonava cristallino sulle labbra di lei; breve. Così breve. E nient’altro sarebbe stato concesso loro.

«Ryker. Perché non mi rispondi?» La nota di paura; l’infrangersi del cuore su scogli taglienti privi di pietà.

«Thari?» Poteva chiamarla senza guastare quei fragili lembi di perfezione?

Lei spostò la mano e lui aprì gli occhi. Non poteva. Thari voltò il viso, nascondendo emozioni e paure. Sedeva sul bordo del letto, le mani sul grembo, le ali congiunte quasi in una preghiera. «Come stai?» Domandò fissando l’arco della porta.

Lui si mosse lentamente e si mise a sedere. «Tu come stai?»

Il modo in cui lei voltò il viso verso di lui, il modo in cui i suoi occhi tremarono appena, gli fecero pensare che, pochissime persone nella sua lunga vita le avessero posto quella domanda.

Thari passò le dita sottili sulle pieghe del lenzuolo, un rosso ramato che si perdeva nell’oscurità della sua pelle. «Perché sei andato via?»

Che gioco era quello di porsi solo domande? Che gioco è quello in cui una donna chiede solo per farsi del male? Vanth Kriera Nefthari era troppo umana e lo era troppo poco.

Ryker si piegò in avanti, le prese un polso con delicatezza e l’attrasse a sé, tenendola stretta in un abbraccio di piume e respiri. Se lei non avesse chiesto, se lei non si fosse innamorata, se lei non fosse stata un demone. «Credo che quegli uomini stessero pensando a un riscatto. Forse speravano fossi di qualche altra nazionalità.»

Lei esitò e poi sciolse l’abbraccio. «Perché? Perché sei andato via? Perché adesso? Perché così?» Solo un rivolo di disperazione avvinghiato a quel timbro scevro da qualsiasi tipo di collera.

«Non dovresti chiedermelo. Lo sai perché l’ho fatto. Tu non c’eri e io» qualsiasi parola avrebbe fatto male «Thari, io impazzisco qui. Ho bisogno di tornare a casa.»

Lei annuì e si alzò. Lui fece lo stesso, tenendo stresso addosso alla vita quell’unica stoffa che da giorni era il suo vestito. Voleva dirle che le dispiaceva, che per lui era doloroso. Tuttavia lei si fermò e puntò gli occhi in quelli di lui. «Non posso tenerti qui contro la tua volontà, come Figlia di Ananke non posso in nessun modo intaccare il tuo libero arbitrio. Ma non condivido questa scelta: la trovo avventata, egoistica, illogica. La trovo stupida.»

La sofferenza che stillava ora da quella rabbia non fu abbastanza. «Te la dico io una cosa che non puoi capire: questo; l’amore per la famiglia, la normalità della vita. Il bisogno di logica e concretezza.»

Lei alzò il viso. «Non è questo il punto, Ryker. Non dobbiamo per forza capirci, non te l’ho neppure mai chiesto; il punto è che se sei qui è perché ne va della tua vita, oltre che della mia. È perché se non è la vita a essere in pericolo è la tua sanità mentale, e lo hai visto da solo cosa vuol dire. Aspettare che la situazione si calmi è un compito duro per te, lo so, ma non attendere qui è da sciocchi.»

«Io devo tornare. La mia famiglia ha bisogno di me.» Replicò lui laconico.

Le estremità delle sue ali si mossero in un movimento piccolissimo, fendendo l’aria dietro di sé. «La tua famiglia non ti avrà più, se torni adesso. Qualche demone vorrà farti rinascere; non lo capisci?»

Ryker fece uno scatto con la mano. «Oh, basta con questa storia del rinascere: uccidere! Uccidere! Voi uccidete le persone, voi vi uccidete a vicenda. Tu uccidi. E mi hai coinvolto in questo casino.»

Thari fece per rispondere, ma le parole le vennero meno e richiuse la bocca distogliendo lo sguardo. Si morse l’interno della guancia fino a sentire il sapore metallico del suo sangue umano; il tentativo di non manifestare nessuna emozione che falliva miseramente sugli angoli piegati delle sopracciglia, gli angoli della bocca, sotto le palpebre semisocchiuse.

Il tuo amore mi ucciderà.

«Lasciami solo, per favore.»




***********

Non so, questo capitolo non mi soddisfa.



sabato 2 ottobre 2010

Ecco le nubi alte nel cielo,

e tu ora lontano,

e dentro il mio cuore;

la pioggia che canta

leggera sul prato,

armoniosa, di noi,

il nostro amore,

dolce, un po' ingenuo;

nell'aria fresca,

sulla terra calda,

un tuo abbraccio

mi scorre nelle vene.

Il sapore bagnato,

che fluttua intorno a me,

il sapore della tua bocca,

che mi accarezza,

gentile, le labbra.

Dolce bimbo,

queste parole che odi

sono vecchie come il tempo,

ma i miei sentimenti

son di bambina!

agosto '02

to You

lunedì 20 settembre 2010

Le figlie di Ananke. Black Light - cap.8

Parte seconda
Capitolo 8

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Oppure vai a

PROLOGO; CAP.1; CAP.2; CAP.3; CAP.4; CAP.5 ; CAP.6; CAP.7; CAP.8; ; CAP.9; CAP.10; CAP.11 ;PER SAPERNE DI PIù

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I feel so light
This is all I want to feel tonight
I feel so light
Tonight and the rest of my life

Nina Gordon - Tonight And The Rest Of My Life

Anno 2010

Un soffio leggero e caldo scivolava morbido nell’aria, carezze disperse che si rincorrevano tra loro srotolandosi allegre e accarezzando la pelle con delicatezza.

Una sensazione di beatitudine avvolgeva la mente rilassata di Ryker nelle giornate tiepide dell’estate. L’estate. Il ragazzo spalancò gli occhi e fissò un soffitto beige con piccoli intagli floreali. Si mise a sedere e si guardò intorno confuso: era in un grosso letto a baldacchino e intorno vi erano tende color pesca che svolazzavano appena. C’era un'unica porta, con doppie ante, e nessuna finestra. La stanza era molto ampia e lui si trovava al centro di esse.

Aveva semplici lenzuola di cotone eppure non sentiva freddo. Scese dal letto e si accorse di non indossare nulla, a parte una stoffa colorata intorno alla vita, che dovette legare meglio per non farla cadere. Traballò sulle gambe, ma appena si rese conto di poter camminare, uscì dalla porta.

Non aveva pensato a cosa si sarebbe trovato fuori, tuttavia non si era aspettato di vedere una fontana con acqua cristallina in una grande stanza ottagonale. Rimase fermo qualche secondo, notando che su ogni lato c’era una porta. «Ehi, c’è nessuno?» Gli risposero i giochi gorgoglianti dell’acqua.

Preso da isterismo, all’improvviso iniziò a percorrere lo spazio esterno di quella sorta di sala e aprì tutte le porte. In ognuna di esse si trovava un letto matrimoniale, tutti molto diversi tra loro e dalle forme insolite.

Quando le ebbe aperte tutte, fissò la scala in marmo che partiva da un lato della fontana e saliva verso il soffitto a cupola. Esitò un solo istante, poi salì i gradini di corsa e ben presto si ritrovò al centro di un’altra sala, questa volta esagonale. Su tre lati vi erano l’inizio di altre scale. Negli altri angoli colonne dorate, sulle pareti bassorilievi bianchi contornate da tende in broccato e sul pavimento un complicato mosaico. «Dove diavolo sono?» Gridò.

Era indeciso sulla direzione da prendere, ma quando si decise udì un battito d’ali. «Ryker, non dovevi essere già sveglio.»

Lui fissò la ragazza accigliata davanti a sé. Si era fermata a qualche metro da lui e lo stava fissando a sua volta. «Dove diamine sono?» Domandò con voce dura.

Lei si morse un labbro. «Ryker, tu non…»

«Thari! Dimmi dove siamo.»

Il demone spostò lo sguardo. «Nel deserto.»

Lui emise un suono molto simile a una risata, benché fosse lontana dall’essere felice. «Ti prego dimmi che non è quello penso. Dimmi che non è il Sahara.»

«Ti trovi a casa di Iside. Deserto del Sahara, Libia.» Fece un passo verso di lui. «Torna a letto, hai…»

«Perché? Dimmi solo perché.»

«Dissanguamento, trauma cranico e frattura dell’omero, dell’ulna e del radio. I motivi principali. Ferite ovunque, perdita di coscienza, trauma psicologico. Necessità di metterti al sicuro.»

«E non potevi portarmi in un ospedale? Un ospedale di Roma.»

Lei scosse il capo. «Avevo bisogno di cure anche io.»

«Da quanto sono qui?»

Le ali di Thari, chiuse dietro la schiena, spostarono un poco l’aria attorno a lei. «Quarantadue giorni.»

«Che cosa?»

«Ryker, mi dispiace.» La ragazza gli si avvicinò e gli toccò un braccio. «Avevi bisogno di essere curato, curato da noi. Avevi bisogno di stare qui. Ricordi? Pochi umani, pochi demoni.» Lui si spostò, guardandola male. «Non so cosa ricordi della sera in cui sei stato ferito, hai perso conoscenza più di una volta. Non potevi rimanere in Italia; non potevi stare in nessun posto che non fosse come questo, al riparo da altri attacchi. E vale anche per me. Iside ci ha portati qui subito dopo perché non avrebbe potuto fare altro; ti ha curato come curiamo noi gli esseri umani e… ha fatto la cosa migliore.»

«Forse avrei dovuto scegliere io quale fosse la cosa migliore per me.» Ryker strinse le palpebre. «Portami a casa.»

«Non posso. Tu non puoi.»

«Mi stai tenendo prigioniero qui?»

Lei esitò. «No. Non mi è permesso. Ma faresti la scelta sbagliata, hai bisogno di rimetterti in sesto, hai bisogno di essere protetto e io… ho bisogno che tu rimanga qui. Temo che molto presto qualcuno verrà a sapere, anzi forse già sanno, e non so cosa succederà allora.»

Ryker si voltò e si passò una mano sulla fronte. «La mia famiglia ha bisogno di me.»

«La tua famiglia sarà in pericolo se torni a casa.»

Sospirò. «Mi avranno dato per morto.»

«Rapito. Per avere un riscatto.»

Lui aggrottò la fronte girandosi a guardarla. «Che vuol dire?»

«È ciò che sanno. La polizia ti sta cercando e sa che alcuni rapitori ti tengono segregato da qualche parte; hanno già chiesto i soldi.»

«E chi lo avrebbe fatto?»

«Iside. Ovviamente non vuole i soldi, ma la polizia non gliene darà. La cosa importante è che fino a che rimarrà aperta questa pista, in pochi ti daranno per morto; e immagino sia quello che volevi.»

«Io non volevo niente di tutto ciò!» Sbottò. «Dimmi la verità, Thari, che succederà alla fine di questa storia?»

Lei sospirò. «Non lo so. Non lo so più. Con ogni probabilità, tu avrai dei vuoti di memoria e io… beh, lo sai.»

Lo sapeva; lei glielo aveva rivelato quel giorno sopra al Colosseo.

«Mi dispiace, davvero. Spero che il giorno in cui succederà arrivi presto, così tornerai a vivere la tua vita. Al sicuro.»

«Tu però perderai la tua essenza come figlia di Ananke.»

Annuì.

«Perché speri che succeda presto, allora?»

«Non mi credi, quando dico che mi dispiace? Che mi dispiace per te, che vorrei solo che la tua vita tornasse quella di prima?»

Ryker chiuse gli occhi. «Credo che impazzirò. Questo credo.»

***

«Vuoi dire che in queste stanze ci sono tutti letti, nonostante voi non abbiate bisogno di dormire?»

«Iside li colleziona.»

«Lo trovo ridicolo.»

Thari si strinse nelle spalle, salendo le scale davanti a lui. «Anche voi umani collezionate cose ridicole.» Replicò adamantina e cambiò argomento. «Ho preso della frutta, perché sapevo che ti saresti svegliato. Ma non ho nient’altro. Andrò a prendere qualcosa.»

«Dove?»

«In qualche villaggio degli umani.» Rispose con ovvietà. «Sono lontani da qui, ma non ci mettiamo molto a spostarci noi demoni.»

«Questo è davvero un posto strano per una che parla come Dante Alighieri.» Commentò osservando una composizione tipica dell’arte contemporanea che percorreva tutta la parete. «Poi spiegami perché dovrebbe avere una casa come questa, anzi spiegami come fa ad avere una casa come questa? Con tanto di scale in marmo, luci, bocche d’aria, e acqua corrente in pieno deserto.»

«Non puoi capire.»

«Provaci.»

«Avete mai capito come hanno fatto le piramidi e a che periodo risalgono?» Si voltò e lo guardò negli occhi. «Te lo dico io, no. Quindi non puoi capire; non me lo chiedere.» In silenzio ripresero a salire, fino a che la scala non si fece ampia e molto luminosa.

Luce naturale.

Ryker sgranò gli occhi osservando lo spazio che si apriva intorno a lui e che presentava sul pavimento erba verde e mattonelle da giardino. Il soffitto, non molto alto, era un intreccio di fiori e stelle disegnati con colori pastello. E sui due lati più corti vi erano due balconate gemelle che si affacciavano sul deserto sabbioso.

«Questo è quello che Iside chiama il terrazzo. Bello, vero?»

Il ragazzo chiuse la bocca e osservò l’acqua uscire dalle anfore di due putti, le torce bruciare nella semioscurità dei lati più lunghi, i divani bianchi e i tavolini in vimini accanto alla piccola fontana. Nell’aria si respirava un profumo di vaniglia appena dolciastro equilibrato da un leggero odore di menta. «Direi che “bello” è riduttivo. È meraviglioso.»

Lei sorrise e aprì le ali muovendole lentamente avanti e indietro. «Sono cresciuta qui, con lei.»

Ryker ebbe l’impulso di abbracciarla, per via del tono malinconico con cui lo aveva detto e l’espressione da bambina che si era disegnata sul volto scuro. Invece, spostò lo sguardo verso le dune sabbiose e il cielo intenso del Sahara. «Provi piacere a uccidere?» Domandò continuando a fissare il celeste contro il deserto.

Lei richiuse le ali. «Cosa vuoi sapere?»

«Proprio quello che ti ho chiesto.»

«Allora, forse, la risposta già la conosci.»

Nelle note della voce vibrò il senso di colpa e lui si voltò verso di lei. «Ti dispiace?»

Thari fece una smorfia. «Fa parte del gioco. Del dovere. Fa parte di ciò che sono: far rinascere gli umani, come del resto altri demoni, è una cosa naturale. Serve a mantenere l’equilibrio.»

«Ma perché provare piacere?» Insistette lui.

«Iside sostiene che sia come la riproduzione: una sorta di dovere di ogni specie, aiutata dal puro piacere dell’atto sessuale.»

Ryker aggrottò la fronte, poi scoppiò a ridere. «Iside dice questo? Forse la devo rivalutare.» Osservò.

I giorni erano troppo lenti, il deserto oltremodo silenzioso, e Ryker credeva che avrebbe finito per contare i secondi, soprattutto quando Thari andava via. Gli aveva detto che andava a prendere da mangiare per lui e lui non pensava che potesse non essere così. Quello che lei riteneva il suo lavoro, a suo dire, lo stava svolgendo Iside, caricandosi del dovere di entrambe, e lui era certo che lei non stesse mentendo.

Le faceva moltissime domande, tuttavia lei non rispondeva o rimaneva vaga sulle risposte che secondo lei lo avrebbero solo scosso. ‘Era un umano e non poteva capire’ era la risposta più frequente.

Thari lo osservava spesso da sotto la frangia candida dei capelli, ma quando lui la sorprendeva, spostava lo sguardo, imbarazzata, fingendo di analizzare qualsiasi cosa avesse in mano o davanti a sé. Seguire i suoi discorsi era difficile, poiché lei parlava di Iside e della sua vita di frequente, ma nei racconti lasciava lacune che non sarebbero mai state colmate. Ryker ascoltava quella voce cristallina, perplesso e affascinato.

A volte si svegliava di soprassalto senza ricordare dove fosse, aveva gli incubi e una costante agitazione. Stringeva in vita l’unico vestito di cui disponeva e faceva la doccia nei bagni ultra moderni di quella casa due volte al giorno. Ne erano passati solo cinque da quando si era svegliato nel letto a baldacchino, eppure gli sembrava un tempo senza fine. Pensava che la sua seduta di tesi era saltata e che la sua famiglia con ogni probabilità si stesse disperando. Non era giusto.

Rimosse quel pensiero scrollando il corpo.

Sul terrazzo coperto Thari puliva la sua spada con attenzione maniacale. Lui si accucciò davanti a lei e con delicatezza gliela tolse dalle mani, prendendo l’elsa. «Puoi uccidermi con questa?»

Lei spalancò gli occhi. «No.»

«Lo immaginavo. Nessuno l’ha mai usata su di me, neppure per farmi un graffietto.» Si mise in piedi e lei lo imitò. «Mi piacerebbe imparare a usare una spada, dovrebbe essere eccitante.» La mosse nell’aria e poi la inclinò piano, osservando il riflesso cinabro del fuoco delle torce muoversi sulla lama. «Quando hai ucciso quel demone, il primo, dal suo corpo è uscito un sangue chiaro, come se fosse latte.»

«Non era latte, era l’effetto della luna sul sangue azzurro. Tutte le creature superiori hanno il sangue azzurro.» Ridacchiò. «Ora sai perché i nobili affermavano di avere il sangue blu.»

Lui si riempì della risata soffusa di lei, infine posò l’arma sul tavolino. «Non ti ho mai ringraziata per quella sera a Vill’Ada. Per me è successo così tutto in fretta, ancora non so se sia reale. Però, grazie.»

«Prego.» Replicò lei troppo velocemente. Si spostò per accentuare la distanza tra di loro, poi trasse un lungo respiro. «Anche io devo ringraziarti per quella sera: se tu non fossi saltato addosso al mio amico angioletto, forse a quest’ora dovrei fare i conti con Ade.»

Ryker le mostrò i denti bianchi e perfetti. «Sei divertente. Te l’ho mai detto?»

Lei gli lanciò un’occhiata. «Oh, ben inteso, Ade non esiste, non quello che vi siete inventato voi, almeno.»

Il ragazzo inclinò il capo. «Dicevi che non esistono neppure gli angeli.»

«A dire il vero, è una sorta di presa in giro nei confronti dei Figli della Luce. Non so bene il motivo, ma è sempre stato così e loro non amano farsi chiamare da noi in questo modo, mentre lo apprezzano se sono gli umani a farlo. Ma gli umani non possono capire.»

«Ovviamente.» Replicò lui sarcastico, poi tornò serio. «Perché ce l’hanno con te, Thari? Perché ce l’hanno con te così tanto e trovano divertente farti soffrire?»

Non era molto più bassa di lui, sicuramente superava il metro e settanta, tuttavia, all’improvviso, sembrò farsi minuta e con l’espressione mesta di una bambina. Fece un altro passo indietro. «Lo sai perché. Non mi ritengono all’altezza e, visto questo pasticcio che ho combinato, forse hanno ragione. Per loro sono quello che voi chiamate mezzosangue: il mio corpo ha sangue umano, sangue rosso. È un corpo a metà, un corpo difettoso.»

«Il tuo corpo è bellissimo così com’è.» Ryker riempì la distanza che lei aveva creato, e con una mano le sfiorò i capelli. «Perché mi hai seguito per tutti questi anni?» Domandò in un sussurro, osservando le piume vibrare appena.

«Io non… non… Io…» Thari sapeva che stava balbettando e si sforzò di mantenere la voce ferma. «Per una serie di motivi che non posso dirti.» Riuscì a dire.

«Perché sono un essere umano?» Scherzò con voce calda, e le tirò una ciocca.

La ragazza non rispose.

Lui l’aveva vista combattere, uccidere e godere del piacere di quell’atto. L’aveva vista difendere lei stessa e lui, e aveva perso il ritmo dei suoi colpi perché lei era troppo veloce. Non l’aveva mai vista tirasi indietro.

Eppure il proprio sguardo la faceva tremare.

Le labbra di lei, piene e soffici, avevano assaporato il gusto della morte e ora lui desiderava solo farle sue. Contemplò i lineamenti delicati di lei, il naso proporzionato, gli occhi neri che mettevano i brividi e che adesso si muovevano frenetici cercando in lui qualcosa che lei non osava chiedere.

Con il battito appena un po’ accelerato e la mente persa in un senso di irrazionalità, Ryker piegò il viso e sfiorò le labbra di Thari. Se lei era la Morte, quella era una Morte morbidissima, e lui ne assaporò il gusto fresco, la pelle liscia come petali di fiore.

Il cuore di lei, invece, le rimbombava nelle orecchie, mentre schiudeva la bocca sotto la leggera pressione di lui. Chiuse gli occhi seguendo la danza lenta e calda delle loro lingue; ricambiando quel bacio che mai avrebbe sperato.

Ryker indugiò con le labbra sulle sue e poi allontanò il viso. Scosse il capo, con un movimento leggero, un poco sconsolato. «Quando tutto questo finirà, io sarò un uomo fuori di senno.» Bisbigliò. «Dimmi che non è vero. Dimmi che sto solo sognando.»

Lei avrebbe voluto chiedere l’esatto contrario. Dimmi che è vero, dimmi che non è solo un sogno. Si limitò a fissarlo in silenzio, fino a che lui non tornò a baciarla.


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Grazie ancora a chi sta seguendo questa avventura.

Quando dicevo che i personaggi iniziavano a muoversi da soli, intendevo proprio questo: non avevo previsto che si sarebbero baciati...

Sul modo di dire "sangue blu" esistono diverse teorie, ovviamente questa è la mia ;)

Nel mio progetto iniziale i capitoli dovevano essere 8 -nel totale- ma a quanto pare li supererò.